Prologo - la bara aperta

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Una cosa che ho sempre dato per scontato, ma che apprendo non esserlo nel peggiore dei modi, è la durevolezza della vita.

Fragile.

Effimera.

Di fatto, non siamo poi tanto diversi da una di quelle falene che si affollano attorno a un lampione in una serata estiva, e che poi, il giorno dopo, lasceranno in silenzio questo mondo.

La bara aperta color ebano è al centro della navata della chiesa. Paolo è sdraiato dentro, gli occhi chiusi in un sonno fatale. Non sembra morto, solo addormentato. Non noto alcuna differenza con le volte in cui si è assopito in macchina durante un lungo viaggio, nemmeno sforzandomi. La corona di rose bianche ai suoi piedi è così bella da far male.

Addio, amico mio. Strappato dalle nostre braccia a soli ventisei anni.

«È successo tutto così in fretta.»

Mi volto. Gianluca sta parlando con me senza guardarmi. La sua voce è roca, sussurrata.

Meraviglioso anche vestito di nero e con un'espressione addolorata. Non vedo accenno al suo stupendo sorriso, al grazioso colorito roseo delle gote o al luccichio giocoso che gli illumina gli occhi azzurri. Vorrei passargli una mano tra i capelli biondi per consolare entrambi, ma temo la sua reazione e, peraltro, non mi sembra il caso. È pallido. Lo sguardo fisso sulla cassa, quasi sperasse di vedere una delle mani di Paolo artigliarne il bordo per sollevarsi. Me lo immagino mentre si rizza a sedere, ci scruta tutti con sguardo vispo, e infine scherza con un: "vi è andata male, nemmeno il cancro vi libererà mai da me". Immagino anche le reazioni di tutti noi: Marco crederebbe di essere impazzito e sverrebbe sulla panca; Sam risponderebbe con un sonoro vaffanculo e intimerebbe a Paolo, dopo uno scherzo del genere, di sdraiarsi di nuovo e, questa volta, morire per davvero; Gianluca, infine, dopo un primo momento di sbigottimento, correrebbe da lui per issarlo di peso. Non mi chiedo cosa farei io perché sono la più realista e so che Paolo, da quella bara, non uscirà mai più.

Non è vero che se n'è andato velocemente; Paolo ha affrontato mesi e mesi di calvario tra interventi falliti e cure palliative, ma per chi resta e ama, suppongo che il tempo sia sempre troppo poco.

Occhieggio ancora una volta Gianluca. Spero quasi che lui faccia lo stesso, ma non succede nulla. Aspetta che Marco se ne esca, ma Marco aspetta che lo faccia anche Sam e Sam non ha intenzione di lasciare il suo posto finché non vede arrivare i becchini.

«È sempre stato un ottimo amico. Non stava zitto un attimo, ma era pur sempre un ottimo amico.» Dice Sam.

Paolo, che tu sia maledetto. Anche da morto ci dai modo di parlare di te.

Finalmente i necrofori arrivano, sigillano la bara sotto i nostri occhi, la sollevano e la trasportano fino al carro funebre. Seguono i genitori in lacrime, poi i parenti stretti e infine noi. Lancio un'altra occhiata a Gianluca, mi spaventa l'idea che possa perdere i sensi per il dispiacere.

Rimaniamo in silenzio anche mentre calano il nostro amico nella buca. Gianluca continua a fissarlo; dissimula indifferenza ma sotto sotto, sono convinta, freme dalla voglia di gettarsi anche lui per tirarlo fuori. Provo ancora quella tentazione di allungare una mano e prenderlo a braccetto. Potrei farlo, potrei lasciarmi andare a piangere e approfittarne per aggrapparmi a lui. Sono una donna, alcuni potrebbero sentenziare come io almeno abbia il privilegio di potermi permettere questa debolezza. E lui, caro com'è, non oserebbe mai scacciarmi via.

Ma resto ferma.

«Fuma, tutto bene?»

Sam mi soffia di bocca la domanda. Maledetta la mia titubanza.

«Sì.» Risponde lui atono.

No, non va tutto bene. E per quanto lo sappiamo tutti, nessuno contesta.

Per un attimo Gianluca incrocia il mio sguardo - azzurro come il suo - ma lo rivolge subito sul padre di Paolo.

È inutile. Potrei stare qui a osservarlo per ore, e per quanto piacere potrei trarne, non ne ricaverei nulla se non il suo fastidio.

Sto per porre la mia attenzione a Marco, che fa di tutto per non farci vedere il fazzolettino bagnato di muco nasale, quando noto un tremolio tra le sopracciglia chiare di Fuma. Le ha corrugate, l'espressione è imbronciata.

È bello anche così, ma non è questo il mio primo pensiero.

Sono così abituata a soffermarmi sui particolari, che non ci metto molto a collegare quelle piccole rughette sul volto al loro significato.

Lo conosco, lo conosco da anni. Ne abbiamo vissute, sono sicura che potrei tradurre ogni suo minimo guizzo facciale. Con una sceneggiata abbastanza convincente e una palla di cristallo, potrei convincere il mondo di essere una fattucchiera.

Gianluca sta architettando qualcosa.

Mentre mi volto per lasciare il cimitero, mi ritrovo a sperare che non coinvolga il dissotterrare un cadavere.

Mentre mi volto per lasciare il cimitero, mi ritrovo a sperare che non coinvolga il dissotterrare un cadavere

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