5. 100 secondi alla mezzanotte

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Quando i produttori del Re Leone hanno ideato quella scena iconica in cui Rafiki solleva Simba davanti agli animali della Savana, devono essersi ispirati a un uomo in cerca del segnale internet.

Siamo tutti dislocati a distanze di venti, cinquanta metri l'uno dall'altro, con le braccia in aria nella speranza di captare anche solo una piccola onda elettromagnetica. Che scena patetica, direbbe mio nonno; ai suoi tempi si saltava i fossi per il lungo, e noi qui non sappiamo neanche l'ABC del cambio gomme.

«Incredibile: siamo stati vaccinati tutti e quattro, eppure insieme non riusciamo a produrre un 5g decente.» scherza Sam.

Un gruppo di ragazzi ci passa vicino cantando la canzone del cartone sopracitato.

Scontato.

«Che palle!» esclama Gianluca, più seccato che mai.

Continua a scorrere verso il basso suo schermo per rinfrescare la pagina, ma con scarsi risultati. Marco, invece, abbassa le braccia.

«Ci serve un cric.» dichiara.

«Fin qui ci siamo arrivati anche noi.» ribatte Fuma.

Lo guardo ancora male, ma mi astengo dal fargli notare come, nonostante affermi di esserne consapevole, non abbia ancora pensato di aprire il bagagliaio per estrarlo — anche se la tentazione è tanta. Emme non gli dà retta, si limita ad avvicinarsi alla macchina per aprire il portellone posteriore. Sam si porta la mano sul cuore: al pensiero di dover faticare di nuovo per risistemare i bagagli, deve aver avuto un piccolo mancamento. Lo vedo impallidire, non so dire dove finisca il male di vivere per tutta la fatica sprecata, e dove inizi piuttosto un reale principio di svenimento per l'afa. Spero che Gianluca sia abbastanza svelto da prenderlo nel caso dovesse accasciarsi.

Ci avviciniamo alla macchina in silenzio, afferriamo le valigie quando Marco ce le passa. E poi, sotto al pianale, ecco spuntare il martinetto. Gianluca lo posiziona sotto la macchina, nei pressi della ruota forata, che adesso non sibila più perché rimasta senza aria. Qualche spinta e la panda si solleva da un lato.

Ci cerca con lo sguardo.

«E adesso?»

Chi se lo ricorda? Sono patentata da sei anni e non ho mai dovuto cambiare uno pneumatico. Neanche gli altri sanno cosa rispondere. Mi viene da sorridere al pensiero che i miei amici, non appena sentono una macchina che fa un rumore strano s'improvvisano meccanici e ne osservano il motore come se fossero degli esperti, ma poi non sanno nemmeno disfarsi di una ruota bucata.

«Riprovo a collegarmi a internet.» annuncio allontanandomi.

«Ok Google.» esclama Marco all'improvviso.

Ci voltiamo tutti.

«Chiama papà.»

Che imbecilli: nessuno di noi ha pensato di telefonare a qualcun altro.

«Emme, passaci un po' della tua intelligenza. Non lasciarci qui a fare la figura degli stupidi.» lo punzecchia Sam.

Marco gli rivolge un sorriso sghembo, passa gli occhi nocciola su tutti noi prima di concentrarsi sulla voce di suo padre che gli risponde al cellulare.


Paolo avrebbe senz'altro saputo come cambiare una gomma. Lo dico non per sminuire il lavoro dei miei amici — anche perché se facessimo a gara, io perderei mille volte — ma perché ci metterei la mano sul fuoco.

Sono seduta a gambe incrociate sull'erba a bordo strada, l'asfalto ha la stessa temperatura della marmitta di una macchina in funzione; mi faccio ombra con la cappelliera della macchina per evitarmi l'insolazione. Gianluca, in genere pallido come un lenzuolo, sta iniziando ad assumere una brutta tonalità rosata; Sam, unico tra noi dotato di una pelle più ambrata, sembra star sopportando meglio il violento sferzare dei raggi solari; Marco, invece, si è spalmato in faccia la crema protettiva e si è messo gli occhiali da sole. Sembra uno dei topolini ciechi di Shrek.

Finché la macchina vaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora