7. L'harem di Virginia Fumagalli

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Da bambina volevo diventare famosa. Progettavo di fare l'attrice. Anche se in quanto a recitazione farei impallidire un ciocco di legno. Mi mettevo davanti allo specchio e cercavo di ricopiare le mie scene preferite dei cartoni animati; le sapevo a memoria, ma le mie imitazioni lasciavano desiderare. Con il passare degli anni, il mio sogno nel cassetto è sfumato — o come mi piace dire: mia madre, come un buco nero, spaghettifica tutto ciò che tocca e per forza di gravità non riesce più a tornare indietro.

Questa versione, però, a lei non l'ho mai raccontata.

Non immaginavo tuttavia, che un giorno l'avrei trovata per davvero, questa fama.

Mi accorgo di essere diventata un meme vivente grazie al gruppo Whatsapp dell'università. Il cellulare mi vibra per cinque minuti consecutivi e sono costretta, oltre che a mettere il silenzioso, ad addossare la colpa alla chiamata di un Call Center dalla Romania.

Sudo freddo mentre spero che nessuno metta mano ai social, perché, se i miei colleghi di aula studio mi hanno trovata, non può che essere grazie alla magia dell'Internet.

«Dunque, stando alla nostra velocità, saremo in Puglia alle due di notte.» annuncia Sam.

Sposta con il dito la visuale del percorso indicato dal navigatore. Cerchiamo tutti di ignorare il fatto che non ci sia un singolo tratto di colore verde per concentrarci solo sulle sue parole.

Alle due di notte.

Tralasciando che sono le tre del pomeriggio, le due di notte sono un orario critico.

Vorrebbe dire che io sono sveglia da ventiquattro ore, e anche gli altri, a parte Emme, non penso che ci si allontanino troppo. Urge un cambio guidatore, ma qui siamo tutti messi male.

«Quindi dovremmo fermarci.» commento.

«No, niente sosta. Tiriamo dritti.» ribatte Gianluca.

«Sì, così ci ammazziamo.» commenta Sam.

Ha iniziato a usare la bandana come fazzolettino per il sudore e lo stuzzicadenti tra i denti è sempre più mangiucchiato con il passare delle ore.

«Mi sono fatto quasi due giorni da sveglio e in hangover, posso sopportarlo.»

«Ma piantala.»

«Se ci avviciniamo alla costa, troviamo un sacco di campeggi in cui fermarci.» si intromette Emme.

«No, ho detto niente sosta. Perdiamo un sacco di tempo per nulla. Dormirò a casa di uno dei parenti di Paolo.»

«Sì, magari mentre guardano Paolo che si improvvisa Anna Baker e ci illustra i motivi per cui è andato al creatore. Sta' zitto, Fuma. Siamo adulti, dobbiamo riconoscere quando è il caso di fermarci.»

Vedo Gianluca che sbircia nella mia direzione attraverso lo specchietto retrovisore. Mai come prima, i suoi occhi sembrano stravolti. Si passa una mano sul viso.

«Virgi, Virgi», sospira, «sei davvero convinta che ti metterei in pericolo guidando in condizioni non ottimali?»

«No, almeno non di proposito. Ma il sonno è una brutta bestia, potresti assopirti e nemmeno rendertene conto.» ribatto.

«Non accadrà.»

Per citare Paolo: "come se questo potesse fare la differenza".

«Potrebbe guidare Emme, si è svegliato solo per far pipì, cambiare la gomma e mangiare.»

Marco mi fulmina con lo sguardo: ha sempre detestato trovarsi al controllo di una macchina. Non appena si siede al posto del conducente, si irrigidisce come una capretta spaventata e inizia a sudare pozze e pozze di sudore. Ma nonostante tutto, se davvero non possiamo fermarci, rimane la nostra soluzione migliore.

Finché la macchina vaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora