XXVI ~Direzione stelle~

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Victoria

Facendo una veloce statistica matematica, le probabilità che sia Chris ad aprire la porta contro la quale ho battuto le nocche pochi minuti fa, sono alte quanto il mio attuale livello di sudorazione.

D'altronde l'appartamento è il suo, il palazzo è il suo e l'intero quartiere.. è suo.
Sperare di non trovarlo è impossibile.

Non mi abbatto, faccio qualche passo indietro e mi costringo a spremere le meningi per pensare a cosa dirgli pur di parlare io per prima.
E, soprattutto, per evitare che la prima cosa che dica si riferisca a quello che è successo ieri, sotto la pioggia, in un freddo marciapiede della Seattle bene.

Mi aveva sognata.
Tante volte, quante? Due, tre, cinque?
Voglio saperlo, anzi ho bisogno di saperlo.
Voglio capire dove diamine ha trovato il coraggio di dirmelo in faccia, mentre io non facevo che pensare al fatto che forse non ho altra scelta che tradirlo, oltre che anch'io l'ho -dannatamente- sognato.

I Kimura hanno vari possedimenti nella costa orientale del Giappone, o almeno questo è quello che sa wikipedia su di loro.
Il padre, Masaaki Kimura, ha un'importante azienda che esporta in tutto il territorio, e all'estero.
Ma a che diamine gli serve dunque la merce del Northgate?
La risposta è facile, molto facile.
Henry Torres.

Inizio a pensare che per togliersi Chris dai piedi, sia disposto a fare di tutto.
Anche proporre ad una famiglia mafiosa giapponese di confiscare al Northgate tutti i profitti necessari alla sua esistenza.
Devo muovermi a metterlo fuori gioco, ma devo ancora trovare il momento giusto.

Mi ero dimenticata dove mi trovavo, davanti a chi e tenendo in mano cosa.
Adesso la porta è spalancata, e la persona che l'ha aperta mi sta fissando da cinque minuti buoni.

Schiudo le labbra per dire qualcosa, poi abbasso lo sguardo sull'invito all'evento di stasera che stringo tra le dita.
"Keira piange. Per te, Victoria, le manchi ogni giorno"

E i suoi occhi lo dicono.
Cazzo se lo dicono, quanto le manco.
Questi sono i momenti in cui detesto il mio cuore di ghiaccio.

«Keira? Chi è?» Kenneth urla alle sue spalle, raggiungendo la porta.
Lei rimane immobile, mentre la apre lentamente così che Kenneth possa vedermi.

Tiene dei guantoni fra le mani, una canottiera sudaticcia sul petto e un'aria affaticata.
«Vic» soffia dopo.

Abbozzo un sorriso tirato, sollevando le sopracciglia a mo' di saluto.
«Sono venuta per..»

«Ti serve il nostro aiuto.» sillaba Keira in modo fermo.
«Sei venuta solo per questo» spalanca la porta, entrando poi di nuovo dentro.
Nascondo l'invito nella tasca dei jeans seguendoli dentro.

«No, sono venuta io ad aiutare voi» afferro la porta con una mano, schiantandola in un tonfo.
Kenneth lancia i guantoni sull'isola della cucina d Keira scrolla le spalle.

«Sei sparita, Vic..» osservo il suo labbro tremante, tape e quale alla sua voce.
Kenneth mi fissa serio dal divano.
«Cioè, tu forse sei abituata a farlo, ma io non sono abituata a veder sparire la gente in questo modo»

«Sai benissimo che la mia casa era tappezzata di agenti, è stato un mese di merda.»
Mi sto giustificando? Senza nemmeno rendermene conto?

Deadly HeartbeatsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora