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Dei suoi primi istanti di vita, ormai, non ricorda molto. Troppo tempo è trascorso, le immagini che gli restano nella mente hanno perso colore. E questo è uno dei concetti che non potrà mai condividere con gli esseri umani: il tempo sa cancellare davvero tutto.

Ricorda però qual è stato il suo peccato originale. La colpa che ha causato la sua caduta; la ragione per cui è stato abbandonato.

Ha immaginato migliaia, milioni di volte il momento in cui avrebbe potuto porre a Ei quella domanda: perché? Ha ricreato la scena nella sua testa in ogni modo possibile: urlata, triste, rassegnata, rabbiosa. Glielo ha chiesto, nell'immaginazione, all'infinito, una lunghissima carrellata di momenti solo teorici in cui si esercitava a sembrarle crudele, pericoloso, poi arreso, tenero, fragile, docile... e poi di nuovo tremendo, oscuro e potente.

Ma lei non ha mai risposto, perché in realtà non le ha mai chiesto nulla, e perché... lo sa benissimo.

Ei lo ha scartato perché appena nato lui ha pianto. Come ogni bambino del mondo, ma a lui non era permesso.


Sta rientrando, a passi lenti. Torna nella tana come un predatore stanco. Ha il taglio su una mano che pulsa e sanguina, sta colando sangue sul pavimento dell'Akademiya. Ride, come un folle; chissà se mai un altro studente ha sanguinato in giro. Potrebbe chiedere un premio anche per quello.

Poi i suoi occhi incontrano quelli di Nahida, e torna serio.

"Mi aspettavi?"

"Certo."

"Temevi che rimanessi incinta?"

Lo guarda con finta severità. "Sei ferito."

Lui solleva la mano, la osserva. "Ah, sì, è vero. Hai un cerotto...?"

Nahida gli afferra un lembo di stoffa dei vestiti, a caso. Lo tira, un gesto che non ha molto senso ma che gli sembra dolce. "Scusami se... ti ho spinto a..."

Non finisce. Gli stringe una gamba, perché non arriva ad abbracciarlo meglio. Lui si china e la coglie, stando attento a non macchiarla con il sangue.

"Scusa, forse non avrei dovuto. Non so, pensavo che..." continua lei.

"Sssh... Hai fatto bene."

"Davvero?"

"Sì. Grazie."

Le sorride, lei piange e si lascia stringere senza dire altro. Si lascia trasportare in camera, e insieme rimangono seduti, stretti.

"Se ti senti triste, non devi consolare me" mormora Nahida.

"Quanto sei seccante. Sto benissimo." Ma il tono è tenero.

"Temevo che vi sareste fatti male..." Tira su col naso, si passa una mano sulla faccia. "Non sapevo se chiamare Cyno... ma ormai sarà a casa a dormire..."

"Non è successo niente."

Le accarezza i capelli e si sente pieno di riconoscenza, per la sua attesa, ma anche per come lo fa sentire.

"Ma avete chiarito? Gli hai detto che..."

"Sì, gliel'ho detto. Kazuha è un ragazzo intelligente, ha capito il discorso e abbiamo chiarito. Non c'è nessun problema. Non pensarci."

"Sul serio? Non se l'è presa con te...?"

"Be'..."

Kazuha è giovane, ma, in un certo senso che ha percepito quella sera, è come se fosse una sua versione umana. E deve far male, essere soli al mondo nel modo di Kazuha. Lo ha visto fremere, stringere la mano sull'impugnatura della spada, ma è rimasto serio e attento ad ascoltarlo. Fino all'ultima parola. Fino all'ultima sillaba.

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