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Siede sul pavimento, con un braccio posato su un ginocchio, in silenzio. Non guarda nulla di particolare. Pensa.

E così, gli umani vivono in quel modo. Non è possibile attaccare nessuno, neanche per difendersi. Già, certo; non è la prima volta, che lo nota. Nessuno sembra ricordare che lui, per la maggior parte della sua esistenza, ha vissuto con i Fatui, soggetto di esperimenti, senza che a nessuno importasse davvero di fargli capire qualcosa.

Si sfiora il petto, lì dove c'era la vision. L'ha tenuta Cyno, ce l'ha ancora lui. Non dubita che presto la riavrà; si fida abbastanza di Cyno da saperlo. Ed è... strano. Non avere alcun dubbio sul suo ridargliela è buffo.

Non dubitare che verrà perdonato è assurdo.

Se gli dispiace (gli dispiace? Bah, forse no, non davvero), basterà scusarsi. Ma gli dispiace per quel che ha fatto, o solo per la loro reazione? Come funziona, per loro? A loro dispiace ogni volta per l'azione in sé, o per le conseguenze?

La porta fa rumore. Si gira a guardare.

"Ehi."

Cyno torna dentro, con movimenti tranquilli, fin troppo calcolati per mantenerlo calmo. Kuni non si muove, preferisce lasciargli pensare che la sua tecnica sia infallibile.

"Ehi."

"Layla sta parlando con la ragazza."

Kuni solleva le sopracciglia, poi si rilassa di nuovo. "Va bene. Con Nahida, presumo."

"Esatto."

"Mh, ok."

"La ragazza si è svegliata e pare si riprenderà. Non sembra abbia danni permanenti, per fortuna."

"Evviva."

Cyno si fa severo, un po' forzatamente. "Piantala. Vedi di fare il bravo bambino, ora, perché non ho voglia di ricominciare."

"Ricominciare..." Kuni sorride, una sorta di ghigno divertito.

"Be'? Cosa?"

"Pensavi di intimidirmi, comportandoti da matra?"

"Uf..." Cyno alza gli occhi, scocciato. "Non mi interessa dimostrarti qualcosa, Kuni. Volevo solo evitare di litigare sul serio con te. Tanto ho già capito che farai la solita scenata da ragazzino isterico, per poi comportarti in modo impeccabile."

Kuni lo guarda sbattendo le palpebre. "Faccio così?"

"Ogni singola volta."

"Wow. Ok."

"Non te n'eri accorto?"

"Boh, no, non direi. Ma... è solo che..." Kuni, ancora seduto sul pavimento, si stringe le ginocchia al petto. "Non lo faccio apposta. Cioè, ok, l'ho colpita apposta... ma non... avevo pensato che..."

"Lo so, lo so." Cyno si getta a sedere di fronte a lui, a gambe incrociate. Come se quel gesto esprimesse cameratismo, e in un certo senso è così.

In un certo senso, Kuni gli è grato.

"Ma è importante per te capire quali dovrebbero essere i limiti" continua Cyno, estremamente serio. "Può essere complicato, all'inizio, ma impegnandoti lo capirai."

"Ne parli come se potessi sapere com'è."

"Tzè. Certo che posso. Io ero un bambino... vero, diciamo così, e quindi forse era più semplice, però... quando mi hanno adottato ero una sorta di selvaggio, in realtà."

Kuni non dice niente, resta ad ascoltare. Non conosceva i dettagli. Ed è vero, le loro storie sono diverse ma hanno dei punti in comune. Cyno sa cosa significhi uccidere senza nemmeno aver capito cosa voglia dire; sa cosa significa introdursi nel mondo degli umani e adeguarsi per forza.

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