Chapter 4

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Eccoci: persi e poco voluti dalla società, pressappoco uniti da sempre.
Io, Noah Natalie Debbins: 17enne priva di un vero scopo nella vita, corro per vivere e amo il mio migliore amico. Cosa che i miei non  accettano, solamente perchè Evan ha dichiarato pubblicamente la sua omosessualità. Alla fine i suoi lo hanno accettato.
Eppure siamo nel ventunesimo secolo. Dio quanto mi fanno schifo.
Poi c'è lui, Evan Christopher Bone: 18enne che da il massimo in qualsiasi cosa faccia, con una vita perfetta e la famiglia migliore. Nato per giocare a basket, e vittima di bullismo alle scuole medie.
Sembrerà impossibile, ma noi due, insieme ci diamo equilibrio. Io che sono imperfetta e poco aggraziata, e lui, con il suo modo di fare delicato e profondo.

"LASCIATE OGNI SPERANZA O VOI CHE ENTRATE."
L'ingresso del nostro mitico "Mondo delle Meraviglie" è poco appariscente, ma molto diretto. Questa casa sull'albero è il nostro rifugio, dove ci sentiamo protetti e passiamo il tempo facendo ciò che ci va. La costruimmo quando era ancora in vita il nonno di Evan. Ci diede una mano, e sino ad allora ne facemmo buon uso. Ci rifugiamo qui praticamente ogni giorno.
"Dovremmo parlare, Evan"
"Ti ascolto Nat."
"Per prima cosa dovremmo ripitturare questo legno marcio, e poi..."
"Non era quello che intendevi dirmi, vero?" Questo fottuto ragazzo mi capisce veramente, in pratica non abbiamo segreti. A quanto pare riesce anche a leggermi nella mente.
Allora, con molta calma, ci sdraiammo sul pavimento sudicio della piccola casetta, poi inizia a parlare.
"Sai che vorrei veramente che tu venissi con me, ci tengo da morire Evan."
"Lo so, ma ci pensi ai miei genitori? Sono sempre stato qua, in Inghilterra,  non mi sono mai mosso. E l'unica volta che ci provai, sai benissimo che cosa successe." In effetti aveva ragione, insomma per i suoi sarebbe stato uno shock, per i miei una liberazione.
"Hai ragione scusa, quindi non..."
"Hey non ho ancora deciso, perchè non vieni a chiederlo tu ai miei. Diciamo... domani sera?" Dopo che ebbe pronunciato quelle parole gli saltai addosso. Insomma era sempre stato il mio sogno: Io e lui su una  spiaggia australiana, sbronzi, a cantare stupide canzoni.
"Ohh Evan ti amo bambolo."
"Okay questo è imbarazzante."
Detto questo scendemmo dal rifugio e ci salutammo. Dirigendosi ognuno a casa propria.

Sydney: Here we come.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora