Nove

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Passò qualche giorno. Un po' mi mancava la mia famiglia e dover mettere forzatamente più distanza del dovuto mi faceva soffrire. Avrei voluto avere qualcuno, al di fuori di Max, con la quale confidarmi. Un parere esterno, qualcuno che fosse più lucido di me nel dirmi la cosa più giusta da fare.

Mi sentivo frustrata e ancora non avevo ricevuto nessuna spiegazione in più. Questo scaturì un'altra discussione con Max. Che alla fine una cosa me la rivelò.

«Ti prego almeno dimmi qualcosa in più. Non credi che rischiare tutto per loro sia abbastanza traumatico? Niente che mi dirai mi sconvolgerà. Perché ti senti in dovere di doverli proteggere? Ci saranno tante persone nella loro situazione, perché ti senti così tanto in colpa per loro?»

«Perché ho puntato una fottutissima pistola alla testa a quell'uomo mentre violentavano la figlia. Ecco perché.»

Rimasi sconvolta.

«Ecco, per questo sguardo che hai adesso che non ti ho detto niente.»

Poi uscì di casa. Doveva andare giù in paese, in quanto entrato nell'esercito doveva occuparsi di "azioni di difesa e di sicurezza del territorio". Per lo più bighellonavano in giro o a quanto pare alcuni di loro si dilettavano nel violentavano ragazze.

Mi misi a guardare fuori dalla finestra. In verità non guardavo niente, avevo lo sguardo perso nel nulla.

Come aveva fatto il signor Rosenthal a perdonarlo?

Sentii una mano che mi toccava una spalla e mi spaventai risvegliandomi da quello stato di trance.

«Posso parlarti un attimo?» chiese cortese Elisabeth.

Annuii con la testa e lei proseguì «Non devi prendertela tanto con lui. Fa del suo meglio. Sai, non è che avesse molta scelta il giorno. Almeno aveva la consapevolezza che puntando lui la pistola non sarebbe partito nessun colpo. Al contrario di quello che è capitato con mia madre qualche giorno prima.»

«Tua mamma... ecco perché non l'avevo più vista. Mi dispiace. Io non so cosa dire... avevo notato la sua assenza ma non ho mai chiesto.» mi tremavano le mani. «Come puoi volere ancora un bambino che nasce da un atto così atroce?»

«Il bambino non ne ha colpa. Avrà due persone che gli vorranno bene e non saprà mai che non è stato concepito dall'amore di due persone. Sappi che lo avrei tenuto in ogni caso.»

«Mi sento ancora più uno schifo per come mi sono comportata. Ti chiedo scusa.»

«No, no. Penso che a parti inverse sarei impazzita. Forse non avrei avuto il tuo coraggio di prendere in mano la situazione.»

«Ammetto di aver pensato di agire in modo diverso da quello che ho detto, cose non piacevoli. Mi vergogno ad averlo fatto ma ho tanta paura.»

«Promettimi che non te la prenderai con Max.»

«Come posso non farlo? Io sto pagando per i suoi errori, non è giusto. Ha fatto una cosa terribile e ha anche fatto più volte la predica a me per alcuni insulti detti nei tuoi confronti.»

«Gli ho detto più volte che secondo me avrebbe dovuto dirtelo. Mio padre si è anche offerto di spiegarti tutto. Ma lui non voleva. Ha paura di perderti. Forse se tu sapessi tutte le circostanze lo capiresti.»

Poi pensai, la maggior parte delle volte, Max si trova con i miei fratelli.

«Con chi era il giorno?»
«Non ricordo.»

Mi salì il panico.

No, non poteva essere. Erano sicuramente altri uomini. Probabilmente suoi superiori a cui non poteva di certo ribellarsi. Non poteva disobbedire agli ordini di qualcuno di grado superiore.

Si, erano sicuramente altre persone.

«Non ricordi?» le domandai cercando di incalzarla a rivelarmi di più.
«Sai, avevo tanta paura e non ho certo pensato di memorizzare le loro facce. Che ci fosse Max anche quella volta l'ho ricordato solo quando a notte fonda venne a casa e ci disse di prendere lo stretto necessario ed andarcene. Ci portò qua e ci tenne al sicuro. Ho scoperto di essere incinta prima di venire qui. Quelle bestie sono venute da noi più volte. Andava avanti da un bel pezzo.»

«Max era presente tutte le volte?»
«Non sempre, ma è capitato più volte. Lui non ha fatto del male a nessuno. Anzi, ci ha aiutati.»

«Mi stai dicendo tutta la verità?»
Fu quasi impercettibile e solo per un attimo, ma si scambiò uno sguardo con suo padre e annuì alla mia domanda.

Max tornò tardi quel giorno. I pasti li preparò il padre di Elisabeth, io non feci nulla tutto il giorno, era come se fossero loro a dover dare conforto a me e non il contrario. Ma come avevano fatto a fidarsi di lui quella notte? Dopo quello che era successo.

Non sapevo come comportarmi con mio marito. Gli lanciai più volte delle occhiatacce come se volessi fulminarlo col pensiero, avrei tanto voluto che mi rivelasse altro. Speravo in cuor mio, che facendolo arrabbiare, come accadde quella stessa mattina, mi riferisse altro. Invece passò la cena stando zitto. Quasi non parlò.

Mi sentii terribilmente in colpa per come avevo trattato quella povera ragazza che ne aveva passate tante e come se non bastasse, tutto ciò che stavamo facendo per aiutare, non era detto che la tenesse in salvo e in vita a lungo.

Andai a letto prima di Max, ma lo attesi sveglia. Una volta entrato in stanza notai che era di umore affranto.

«Max, possiamo parlarne?»
«Senti, lo so che mi vedi con occhi diversi adesso, ma non gli avrei mai fatto del male.»
«Non ti sto facendo accuse, voglio solo capire. So anche della madre di Elisabeth, ho qualche pezzo del puzzle. Ora, ti prego, aiutarmi a finire di comporlo.»

Mi guardò con terrore, poi portandosi il viso tra le mani, pianse.

Non lo avevo mai visto così distrutto. Mi chiesi a quante scene simili avesse assistito senza avere il potere di impedirlo. E compresi. Quel giorno aiutò loro invece di altre persone per via dell'amicizia che li univa. Del resto anche se Elisabeth non fosse esistita, Rafael sarebbe comunque stato il suo mentore.

Allo stesso tempo, forse egoisticamente, avrei voluto si fosse confidato con me. Non avrebbe cambiato la situazione ma avrei potuto dargli conforto.

Lo abbracciai. Restammo là, in silenzio per un po'. Non mi sembrò il momento adatto per fare altre domande.

«Sono sicura che hai fatto del tuo meglio per evitare tragedie.»

Gli baciai la testa. Fu la prima volta in cui fui io ad avere un gesto di premura e cura nei suoi confronti. Solitamente era lui che mi consolava. Anche se la maggior parte delle volte, il motivo per la quale necessitavo le sue attenzioni, era qualche sciocchezza, come ad esempio qualche discussione banale avvenuta coi miei fratelli o qualche fraintendimento con qualche amica.

In quel momento capii che non sempre sarebbe stato lui quello forte e cosa significasse davvero la frase pronunciata nelle promesse: "Nella gioia e nel dolore".

Speravo sapesse che poteva dividere il peso di tutto quel male con me da quel momento in poi.

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