Trentanove

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Mi disperavo ancora di più nel vedere la sofferenza di chi mi circondava, mentre la guerra continuava a portare morte e distruzione. Ogni giorno sentivo gli echi delle esplosioni e il fragore dei bombardamenti, il terrore si era impossessato di me. Mi preoccupavo per la sicurezza dei miei figli, sperando che fossero abbastanza protetti dalla violenza che ci circondava.

Mi occupavo di loro con ancora più amore e premura, cercando di nascondere loro il dolore e la tristezza che provavo. Volevo che vivessero una vita normale, nonostante tutto quello che stavamo passando.

Il tempo passava lentamente, e l'oppressione della guerra sembrava non avere fine. Ma nonostante tutto, gli Alleati si avvicinavano sempre di più, portando speranza con la loro avanzata.

Il 25 aprile 1945 le truppe americane si incontrano a Torgau in Germania con quelle sovietiche. Cinque giorni dopo Hitler si tolse la vita nel suo bunker.

L'esercito tedesco si arrese il 2 maggio. Il 2 settembre si arrese anche il Giappone e la guerra finì.

Un senso di sollievo e felicità mi travolse, ma fu immediatamente seguito dalla tristezza per tutte le vite perdute, per tutte le anime che avevano sofferto a causa della follia della guerra. Era un misto di emozioni contrastanti, ma nel profondo del mio cuore sapevo di dover ricominciare a costruire una nuova vita per me e per i miei cari.

Ci vollero giorni, settimane e mesi per raggiungere una qualche forma di normalità. La città era in rovina, ma con determinazione e speranza, lentamente si iniziò a ricostruire. I primi negozi riaprirono, le scuole ricominciarono e la vita tornò a scorrere piano piano.

Quando a maggio, pochi giorni dopo la fine della guerra dovemmo fare la fila per consegnare i documenti agli americani e dichiarare che parte avevamo avuto durante la guerra, mi colpì un soldato.

Non in senso estetico. Era molto gentile e mi fece sperare che presto avrei rivisto la mia amica.

Erano in tre il giorno. E solo uno parlava tedesco «Parlo la vostra lingua, mia moglie è tedesca.»

Poi si soffermò un attimo sul mio nome. Pensai che forse gli fosse famigliare, ma forse lo trovò solo particolare.

Per un momento credetti che magari la moglie di cui parlava fosse Elisabeth.

Però ragionai sul fatto che se il mio nome gli fosse suonato famigliare per via di Lisi, avrebbe detto qualcosa. Invece non disse nulla. Ci lasciò andare e finì così.

Nei mesi a seguire dalla resa ci fu un'ondata di persone che tornavano. Passai giorni ad attendere le persone che amavo.

Alcuni tornavano dalla guerra dopo aver combattuto e altri dagli orrori dei campi.

Anche se speravo con tutto il cuore che Rafael ed Elisabeth fossero riusciti ad andare in un altro paese, guardai tutti i volti delle persone che tornavano per vedere se tra tutte quelle persone scorgevo anche i loro visi.

Ogni giorno la stessa solfa. Lasciavo i bambini dai miei genitori e mi dirigevo al centro del paese.

Ero consapevole che molti dei soldati vennero fatti prigionieri di guerra ma speravo comunque di poter individuare il prima possibile le persone per la quale provavo affetto.

Mentre osservavo tutte quelle persone notai con piacere che il ragazzo che anni prima cercai di aiutare, l'amico di Lucas, fosse sopravvissuto. E scoppiai a piangere per il mio amato fratellino di cui sentivo immensamente la mancanza.

Ebbi bisogno di un attimo per riprendermi. Mi sedetti in una panchina lì nelle vicinanze.

Sentii una voce famigliare «Lidi? Perché piangi?»

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