8.

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Arrivò come sempre prima di tutti.

Evie raggiunse l'entrata con la testa bassa, pronta a sorridere alla signora della portineria come d'abitudine.

Alzò lo sguardo e gli occhi in cui affondò non erano i soliti scuri e spenti.
Erano come il mare, e nonostante si vedessero appena tra i capelli chiari, lei ci si perse come sempre.

"Che ci fai qui?" chiese allora.

Il ragazzo alzò le spalle.
Evie non sapeva che lui aveva litigato con i suoi genitori e che lo avevano cacciato.
Vai, avevano detto. Vai a quelle sedute e torna in te.

"Ho pensato di venire prima"

Le era piaciuta sin da subito la sua voce. Parlava piano, ma non tremava mai, come invece faceva spesso il suo corpo.

Evie lo vedeva ogni volta quando usciva, lei sempre per prima, lui sempre per ultimo.
Sembravano aspettarsi a vicenda. Si rincorrevano, lasciando pezzi di pane in cerca dei pezzi del mosaico.

Si stavano guarendo, ma Evie intuiva che il ragazzo pensasse che fosse impossibile farlo.

A lei le cose erano andate diversamente.

Un giorno era entrata in camera sua dopo una lunga giornata identica alle altre. Aveva sospirato, si era tolta le scarpe e aveva ripetuto tutte le solite cose che rendevano la sua vita piatta e monotona.

C'era una felpa sopra lo specchio, che le impediva di vedersi in viso.
Il corpo però, si vedeva eccome.

Si era fermata davanti ad esso quasi per scherzo.
Voleva vedere come fosse diventata, che effettivamente avesse la voce di Lui sulla sua pelle da ragazza.

Ma quando aveva guardato in basso, non aveva visto il suo riflesso.
Vedeva il corpo di una ragazza come gli altri, che si perdeva tra gli altri, che viveva e rideva come tutti.

Aveva visto il corpo di una ragazza anche non conosceva.
Ed era bella.
Quella ragazza senza volto era bella.

Non perfetta, ma era come gli altri.
Era come lei avrebbe voluto essere.
Come aveva sempre desiderato diventare.

Lentamente, la felpa era caduta dallo specchio.
E allora vide.
Vide il suo viso.
Vide che quel corpo era il suo, e si rese conto che non era cambiato di una virgola.

Era lei.
Il corpo era lo stesso, ma era la mente a non esserlo.

Evie non era guarita, Evie aveva accettato.
E accettare a volte porta a stare bene, a sentirsi a proprio agio in un corpo che si comincia a sentire come proprio.

Evie non era guarita.
Lei non lo sarebbe mai fatto, perché era rotta, diversa, sbiadita, ma c'erano persone come lei.
Persone che soffrivano, ridevano, piangevano in silenzio come lei.

E questo rendeva tutto un po' meno pesante.
Alla fine si sentiva sempre un po' meno sbagliata, meno nera.

Questo l'aveva aiutata.
Sentirsi parte di qualcosa in un mondo che ti lascia sempre indietro, da solo.

Lui non l'aveva lasciata.
Lui non l'avrebbe mai lasciata.
Ma si rese conto che cantando ad alta voce, quella di Lui sembrava un po' meno persuasiva, meno credibile, più umana.

Perché era un'emozione umana, quella che provava Evie. Terribilmente, dannatamente, meravigliosamente umana.

E quello che è umano può sempre cambiare. Lei ne era l'esempio vivente.

Lei viveva, cambiava, urlava e rideva insieme.
Lei era vita. Sempre meno sbiadita sempre meno sbagliata.

Si sentiva così. Per la prima volta si sentiva nel posto giusto in un mondo di sbagli.

Lui Non Mi Lascerà Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora