Capitolo 3

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Eveline's pov

"Sei pronta?"

Mio padre entra sbattendo la porta della camera.

"Sì, papà...fa piano per favore..."

Riecco la solita vita monotona, la quale io detesto: giro la faccia verso l'uscio della porta e la ritrovo semi-aperta, senza nessuno. So che a lui non importa di me, so che a nessuno importa, mi hanno insegnato a cavarmela da sola. Nella testa mi rimbombano quei messaggi, quelli che pur solo leggendo, mi hanno fatta sentire viva, mi hanno dato quel piacere che desideravo. "Eveline...smettila." ripeto a me stessa cercando di distogliere la mia mente da quei pensieri, eppure è come se fosse impossibile: sto già bene, ma non quel bene che vorrei, un bene che mi fa paura, o forse lui è la mia paura più grande.Sospiro in un sorriso ironico per le mie affermazioni insensate; come può un ragazzo mai visto, che nemmeno conosco, farmi così tanta paura ma allo stesso tempo darmi piacere? Semplice, non può.

Ad un tratto, però, il mio pensiero si sposta da tutt'altra parte e la sensazione di vuoto pervade, pervade più devastante che mai. In questo momento sono giunta ad una conclusione: mi manca.

Sbuffo scocciata da questa situazione e mi chiedo: "perché? Come fa a mancarti uno stronzo del genere? Finiscila cazzo."

Prendo la cartella iniziando a sistemarla, continuando ad avere la mente occupata da un solo pensiero, Louis. Apro la cerniera della borsa mettendoci dentro i quaderni decorati con scritte col pennarello indelebile: You're my sunrise and I'm your sunset, you have my soul as no one else has and if you'll stay here, even in a million of years, I will give you all my Universe.

Andate, andate buttate nel cesso anche quelle. Richiudo la cerniera prendendo le solite cuffiette bianche e unendole al cellulare. Metto la playlist e schiaccio «play», mettendo una cuffietta nell'orecchio destro mentre le note di "Invincible" di Kelly Clarkson iniziano a sentirsi. Questa canzone mi rappresenta: dopo averne passate così tante, sono ancora in piedi, ora sono invincibile.

Metto la cartella in spalla ed esco dalla stanza scendendo al piano inferiore.

Mio padre prende le chiavi della macchina ed esce senza che dalla sua bocca esca alcuna parola.

Oggi è più silenzioso del solito, si comporta in modo strano, è meno...vivo.

Esco anch'io di casa, seguendolo.

"Sei in ritardo."

Mi guarda severo prima di entrare nel veicolo.

"...no papà, sono in netto anticipo."

Dico salendo in macchina e guardando l'orario sul cruscotto: le 7:34 quando la mia entrata è alle 8.

"Muoviamoci."

Dice in fretta tenendo lo sguardo fisso sulla strada e partendo.

Abbasso la testa restando in silenzio.

"Oggi resti a casa."

Alzo lo sguardo per rivolgerlo a lui; vorrei gridargli in faccia che non esco da due mesi e che non sarei uscita nemmeno oggi, ma non posso farlo.

"...certo papà..."

"Abbiamo ospiti."

Lo guardo.

"...chi papà?"

"Phoebe e il suo ragazzo vengono a mangiare da noi."

"...Phoebe?"

"Già."

Impallidisco a quel nome.

"...perché la sorella di mamma dovrebbe venire con il suo ragazzo a cena?..."

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