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Negli anni la nonna Pia ha sviluppato una sorta di rito, un appuntamento rigoroso in occasione del mio compleanno dedicato a raccontarmi tutta la genesi del mio concepimento. Credo che l'esigenza da parte sua di sviluppare questo gesto sempre puntualissimo si sia manifestata in contemporanea al mio allontanamento dalla casa di via Sant'Agostino, quasi a compensare la grande frustrazione di non potermi dedicare una festa a causa della lontananza.

La nonna ha avuto una costanza ammirevole nel mantenere viva questa tradizione per tutta la mia adolescenza come vivendo nella convinzione che, pur avendo già sentito la storia di ciò che c'era prima di me in molte occasioni, allo scoccare della mezzanotte dell'8 febbraio io dimenticassi tutto ciò che sapevo sull'argomento e fossi pronta per riascoltarlo da capo, sempre sorpresa delle innumerevoli circostanze sottese alla mia nascita.
In parte, era vero.

Il fatto che narrava con più drammaticità riguardava ciò che avvenne quando la mamma, in un pomeriggio di primavera dei primissimi anni duemila, telefonò da Torino dicendo di essersi sposata senza alcun tipo di preavviso con tale Lucio Rubino. La nonna afferma di essere svenuta a terra di botto e, nel mentre, di aver colpito con la testa un mobile e perso un dente.

Non so quanto ci possa essere di vero nella storia del dente - la mamma nega e ripete: esagera, come sempre -, fatto sta che l'annuncio del matrimonio secondo tutte le fonti attendibili fu davvero un fulmine a ciel sereno. E a fatto compiuto.

La mamma aveva conosciuto Lucio ad una festa con gli amici dell'università, a Taranto. Mio padre era il DJ della serata e, anticonformista, loquace, un po' hippy, l'aveva catturata coi suoi capelli rossi e con le idee singolari cui vantava di aderire. Una volta tornata in Abruzzo i due iniziarono una corrispondenza che durò per mesi, prima via lettere, fitta fitta, e poi tramite le prime e-mail, in cui oltre ad approfondire la conoscenza si dedicavano alla condivisione di pensieri, letture, idee filosofiche e spirituali. La mamma aveva allora trent'anni e studiava architettura da dieci, era finalmente sul punto di laurearsi, ampiamente fuori corso e con grande soddisfazione dei nonni che ambivano come prima cosa alla realizzazione professionale. Volevano una donna in carriera, la immaginavano presto andare al lavoro in ufficio bella, in tailleur, magra e curata. Perfetta.

La mamma non era mai stata così e non aveva mai aspirato a questo. Le aspettative della gente del centro di Atri, piccolo borghesi provenienti da generazioni di campagnoli emigrate in città che facevano a gara per sfoggiare la famiglia più bella, i figli più istruiti, le case più sfarzose, le davano il voltastomaco. Forse voleva già scappare da tempo e quella fu solo l'occasione. Fatto sta che, a marzo del 2001, la neolaureata Clara Petrosi prese il primo treno per Torino, dove da poco si era trasferito Lucio, e andò a convivere con lui annunciando ai miei nonni il suo imminente matrimonio. Era più che mai intenzionata a non tornare mai più in quel buco ipocrita dove la gente si arrogava il diritto di giudicare ogni passo falso - e anche, talvolta, quelli giusti.

Forse fu una decisione troppo affrettata. Dopo l'inizio della convivenza nessuno dei parenti in Abruzzo ebbe più sue notizie. Passarono ben tre mesi prima che, una mattina, la nonna ricevesse una telefonata da un numero sconosciuto. La mamma, a bassa voce, come se avesse paura di essere ascoltata, diceva di non volersi sposare più. Disse venitemi a prendere, torno ad Atri.
Il matrimonio in comune era l'indomani, il giorno del suo compleanno.

I nonni si misero in viaggio la sera stessa per arrivare all'alba a Torino assieme a mia zia. Pallidi, preoccupati, sicuramente sull'orlo di una crisi emotiva, bussarono alla porta della casa di Lucio ricevendo in risposta urla e rumori di cocci che cadevano a terra dall'interno. La serratura rifiutò a lungo di aprirsi nonostante i miei nonni, da imploranti, fossero passati alle grida e alle minacce.
Solo l'intervento della polizia che buttò giù la porta dell'appartamento permise loro di entrare e rivedere la figlia; dopo settimane in cui non avevano ricevuto alcuna notizia del suo stato di salute si spaventarono nel vederla raggomitolata in un angolo coperta da un drappo nero, smunta e smagrita.

La mamma aveva smesso di mangiare qualsiasi carne e formaggio perché Lucio le ordinava così. L'uomo si faceva campare dal fratello, che aveva una bancarella al mercato, e passava il tempo in casa guardando vecchie cassette di film fino a tarda notte con la pretesa che la mamma restasse sveglia, muta accanto a lui come una sentinella, a fargli compagnia. Usciva solo in rare occasioni e al suo ritorno trovava sempre una ragione per qualche scenata di gelosia, del tipo: hai lavato la biancheria intima mentre ero fuori casa, mi tradisci, non è così?

In una di queste occasioni di litigio, Lucio aveva rotto il telefono cellulare della mamma - era uno dei primi commercializzati al pubblico, di quelli indistruttibili e che quindi dovevano fare ancora più male - lanciandoglielo in testa, perciò lei non era più riuscita a contattare i nonni.

Dopo l'ingresso della polizia, Lucio continuò ad imprecare additando i miei nonni con parole che non voglio trascrivere e definendo mia zia una serva del demonio perché vestita di viola, suo colore sfortunato. Un poliziotto chiese alla mamma se voleva sporgere denuncia per gli abusi domestici; a questo punto della storia, di solito, la nonna mi racconta con grande commozione la sua generosa risposta: «Non voglio denunciarlo, lo perdono. È solo pazzo».

Dopo aver congedato le forze dell'ordine, prima di salire in macchina e tornare a casa, scialba, sconvolta, ancora debolissima, Clara Petrosi si era rivolta ai suoi genitori.

«Mà, pà... Io prima di venire con voi devo dirvi una cosa. Sono incinta. Posso tenerlo?».

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Questa è la prima parte della backstory di Clara, la madre della nostra protagonista. Spero che la storia vi stia piacendo! Domani pubblicherò la seconda e per ora ultima parte!
aiko-

Non ci sono fiori nel deserto - Parte I: Il castello di sabbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora