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Aurora era una cugina alla lontana di Celeste. O almeno tutti erano convinti che lo fosse, perché entrambe facevano di cognome Marino ed entrambe venivano da famiglie ricche, proprietari terrieri residenti al centro di Atri.

Celeste da piccola ci diceva di avere la casa pienissima di peluche, fino al soffitto, e veniva a scuola adornata da gioielli principeschi. I suoi capelli biondi e setosi facevano invidia a tutte le bambine. Era molto vanitosa, naturalmente, ma credo ancora oggi che la sua maschera di perfezione fosse soltanto un'apparenza.

L'unica cosa che accomunasse Aurora all'improbabile cugina era il patronimico; a differenza di Celeste, era una bambina molto alta e sviluppata per la sua età, mora, dallo sguardo penetrante e i modi bruschi. Con lei avevo giocato soltanto qualche pomeriggio al parco o nel cortile dell'asilo, e in mensa si sedeva vicino a me. Era silenziosa e molto discreta, nonostante la sua altezza la annunciasse ad ognuna di noi come la più forte e la più rispettabile.

Le due Marino in prima elementare si ritrovarono in classe con me, che, già più piccola di tutti essendo entrata in prima a cinque anni e mezzo, vicino ad Aurora mi sentivo sempre un po' più bambina.

Un pomeriggio di quell'estate ero in piazza, seduta sui gradoni delle poste, a giocare da sola con le bolle di sapone mentre il nonno leggeva il giornale al bar del teatro. Mi trovai Aurora davanti, seria. Mi chiese senza un minimo di contesto: «Ma tu Alessio l'hai baciato?».
Confusa, le dissi di sì.
«Ma non sulla guancia, in bocca», precisò.
«Allora no, fa schifo».
Mi guardò come se improvvisamente le sembrassi più bassa di quanto già fossi.
«Secondo me non lo sai fare».
«Sì invece, che ci vuole».
«E allora fallo. Che ci vuole», ripeté.
«Quando viene a casa mia» sottolineai, come ad indicare che con me aveva un rapporto più stretto che con lei, «lo faccio sicuro».

Alessio a casa non venne per giorni, era dovuto partire per Roma da alcuni lontani cugini.

Improvvisamente, volevo vederlo. L'idea del bacio mi incuriosiva, perché per Aurora era così importante? Che cosa significava? E perché proprio sulla bocca?

Non mi chiesi cosa Aurora sapesse di Alessio e del mio rapporto con lui. In centro ad Atri ci conoscevamo tutti, chi più e chi meno, e le connessioni tra le persone a quell'epoca mi sembravano scontate; tutte le viuzze nascoste del paese ci avrebbero collegati l'uno all'altro, se non ora in un futuro prossimo, sempre e comunque.
In quel momento però l'essere che fino a quel momento mi aveva suscitato fastidio, con una sfida di mezzo che forniva un certo valore aggiunto alla mia immagine ponendomi al di sopra della bambina più alta di tutte noi, aveva ricominciato ad attrarmi. Per la prima volta, quella sera cercai di premere le labbra sul cuscino più e più volte per capire cosa potesse mai esserci in un bacio che non si può trovare altrove. Faceva provare davvero una sensazione così dolce e strana da farti crescere in un attimo? Il cuscino muto non rispondeva, la stoffa sulle labbra era secca e arida.

Passarono giorni, forse più di una settimana, in cui mi scordai completamente della nostra scommessa.

Non so dire di preciso cosa successe quando rividi Alessio, ma ero in spiaggia, alla Sirenetta. L'estate volgeva ormai al termine, stava per iniziare settembre, lui presto se ne sarebbe andato di nuovo. Ricordo le macchie di sole che bruciavano la pelle filtrando dagli alberi della pineta, le cicale che frinivano forte, la sabbia, gli aghi di pino incastrati sotto i piedi, il sapore di sale in bocca dopo il bagno in mare. Gli dissi, mentre mangiavamo un ghiacciolo ciascuno seduti sotto il gazebo: «Ma tu i baci li sai dare?».

Non ricordo nulla. Né delle sue labbra né delle mie, né del resto della conversazione. Non saprei nemmeno dire con precisione come accadde e chi fece la prima mossa. Ho in mente soltanto un breve attimo di sospensione del tempo e dello spazio: i nostri capelli sollevati da una brezza di vento, il calore dorato della sabbia irta di spini sotto i piedi in cui sprofondava scintillando un ghiacciolo verde mangiato per metà, e lo sguardo da lontano del papà milanese di Alessio, un uomo basso, tarchiato, con sopracciglia folte e corrugate.

Non provai nulla, solo una specie di distorsione della realtà e una leggera paura di star facendo qualcosa di sbagliato. Quel bambino che prima era diverso da me, incomprensibile ed estraneo, per un attimo mi era sembrato troppo vicino quando si era accostato a me in modo quasi cattivo. Eppure nella settimana precedente l'avevo bramato e ricercato, per curiosità o forse solo per vincere un riconoscimento, avevo sognato un suo bacio - forse non proprio suo, forse era l'idea astratta di dolcezza che desideravo.

Lui era euforico, mi teneva le mani, mi disse: «Sai che da grande ti bacio anche se hai le labbra piene di farina?».
Stava per avvicinarsi di nuovo a me, ma mi svincolai dalla sua presa.
Mi abbassai a toccare il ghiacciolo caduto a terra, che non ricordo se fosse il mio o il suo, e lo presi dallo stecco rigirandolo nella sabbia come in un'impanatura dorata. Poi mi voltai senza salutare e tornai sotto l'ombrellone dello stabilimento da sola, mentre suo padre mi seguiva con lo sguardo da lontano.

Al primo pomeriggio dell'indomani io e la mamma stavamo attraversando la piazza di Atri, di ritorno dalla casa di una prozia che abitava dall'altro lato del paese alla quale avevamo portato gli uccelletti con la marmellata. Era una signora molto anziana, si chiamava zia Lucia e viveva in una grande villa col giardino che ricordo sempre inondata di sole. Aveva anche un border collie e un sacco di gatti. All'epoca non potevo saperlo, ma non avrei mai più rivisto zia Lucia e la sua bella casa dopo quella volta.

Proprio mentre passavo davanti alla cattedrale intravidi Aurora dal lato opposto della piazza, che stava accarezzando un meticcio randagio accucciata dietro una sedia al bar del teatro, da sola.

Lasciai la mano della mamma e corsi verso di lei. Le dissi con il tono orgoglioso di chi sfoggia la riuscita di un'impresa: «Io Alessio l'ho baciato alla fine. In bocca».

Aurora per un momento sembrò non riconoscermi, ma smise di accarezzare il cane. Poi si alzò, svettando su di me.
«Anche io l'ho baciato».
Non risposi, fissai il cane. Era bianco, un bianco sporco. Mi sentii incredibilmente piccola.
«Sai che l'ho baciato anche con la lingua?» continuò lei con tono allegro.
La guardai negli occhi, seria. «Anche io. Io l'ho baciato anche con i denti».
Ci fu un breve momento di silenzio incerto, poi lei scoppiò a ridere. «Io no, perché c'ho l'apparecchio».
Senza sapere bene perché, risi a mia volta. La sfida si era conclusa.

Non fu più necessario svelare a tutti la mia avversione nei confronti di Alessio, perché poco dopo io e la mamma ci trasferimmo e lo rividi in occasioni molto rare e non dalla finestra di casa. Quel bambino forse aveva rappresentato solo un mio pretesto per dimostrare quanto valevo, ma so di per certo che, da quel momento, smisi – almeno per un po' - di guardare chi c'era sopra di me. Scoprii poi che Aurora era più grande di me solo di qualche giorno, ed era entrata a scuola primina.

Diventammo amiche.

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Mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo! Il rapporto della protagonista che si intreccia con Aurora e con Alessio, che da bambino antipatico e viziato viene usato come pretesto per la sfida del primo bacio, mi ha portato a esternare molte riflessioni ed emozioni in modo indiretto. Spero che anche a voi questo pezzo di storia abbia fatto sorridere!
Nei prossimi giorni ho un esame e riprenderò a scrivere intorno al prossimo giovedì, quando partirò per le vacanze. Mi aspetta un viaggio di sei ore in treno quindi avrò tempo da vendere per lavorare sulla prossima parte, non vedo l'ora!
aiko-

Non ci sono fiori nel deserto - Parte I: Il castello di sabbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora