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Quando la terra sarà agitata da una scossa
e le montagne sbriciolate
saranno polvere dispersa...

Anche qui, nella fortezza sul mare che sembra montagna ma non lo è, da una settimana c'è gente che dorme in macchina o non dorme affatto.
Ansia, panico, nevrosi collettiva.
Gente che esce in strada ad ogni piccolo rumore nella notte. Genitori che hanno perso la figlia ostetrica o il figlio studente. Funerali.
Eppure, a ben guardare, non c'è segno più esplicito e più forte della terra che ti trema sotto i piedi, mentre tu, infimo e impotente, cerchi riparo, ma da cosa?

Nasciamo nella consapevolezza, eppure cresciamo e perdiamo il senno e ci attacchiamo agli affetti terreni, alla casa, al benessere, al lavoro, al look, alle relazioni e a tutte quelle cose che ogni giorno ci sembrano il centro della nostra esistenza, la cosa più importante della vita, l'elemento senza il quale la quotidianità non avrebbe alcun senso. E poi, una notte, il letto trema e ci svegliamo come se fossero venuti gli angeli a tirarci giù e in quel piccolissimo lasso di tempo in cui gli occhi si aprono, ci si alza e ci si rende conto di che cosa sta succedendo, capiamo solo che non ce l'avremmo fatta a salvarci, né a salvare nessuno, se Qualcuno avesse voluto decretare la nostra fine.

Di fronte alla malattia, di fronte alla possibilità di morire tra dieci minuti, di fronte alla povertà, all'indigenza, di fronte alle grandi prove della vita, il mondo di colpo si rovescia e chi fino a poco tempo prima ti era sembrato forte, ricco e potente si mette a piangere di paura come un bambino indifeso.

E se stanotte a crollare dovesse essere la mia città? E se improvvisamente tutto finisse? La mia casa, la mia gente, la mia vita?

L'angoscia di poter essere improvvisamente derubato di tutto quello che credi tuo e che invece non ti appartiene e su cui non hai alcun diritto. Non è tua la casa, non è tuo il figlio, non è tua la città, non è tuo il conto in banca, non è tua la tua stessa vita.
E' così ovvio.


La mamma scriveva molto. Avevo sedici anni quando trovai le sue riflessioni sul terremoto del 6 aprile in un file word abbandonato nella cartella più nascosta del computer. 

Non ricordo granché di quell'avvenimento. Ho in mente qualcuno che mi trascina giù dal letto, una corsa in macchina e un'adunata con tante altre persone nel parcheggio grande di un supermercato fuori città, il cielo grigio. Ho dimenticato ormai la sensazione della terra che trema e penso che se dovesse succedere di nuovo, anche solo per un minuto, sarebbe capace di buttare giù tutte le certezze che ho accumulato negli anni.


Era febbraio, poco dopo il mio compleanno, quando io e la mamma ci trasferimmo da sole alla casa del forno. Anch'essa era stata di proprietà dei d'Amato, come la maggior parte degli edifici storici del centro; nonno Vincenzo l'acquistò con l'idea di affittarla poco dopo la mia nascita. La chiamavamo casa del forno perché si trovava di fronte ad un panificio nell'androne di via Celeste che ogni notte esalava odori morbidi e caldi. Via Celeste era distante tre minuti a piedi rispetto alla casa vecchia, e capii fin da subito che quell'allontanamento parziale era soltanto la prima tappa simbolica di un distacco da ciò che la mamma non sopportava più. 

Prima del trasloco ci furono grossi litigi, credo. La sera andavo a dormire ascoltando da dentro il letto discorsi lunghissimi e progressivamente sempre più rabbiosi. Poi un bel giorno la mamma arrivò al limite, prese tutto ciò di cui aveva bisogno - me inclusa - e semplicemente si chiuse la porta alle spalle, percorrendo fieramente quei tre minuti di passeggiata che la separavano dalla sua libertà. 


Io avevo sette anni e la casa nuova mi entusiasmò. Era spaziosa, non quanto quella dei nonni ma indubbiamente più intrigante, con un paio di camere il cui unico arredo erano bianchi letti vuoti che sembravano celle dei monaci. C'era una stufa catalitica che impregnava l'aria di un odore avvolgente di gas. Mi divertivo a frugare in ogni angolino dei numerosi mobili vecchi della cucina e dello studiolo e per un certo periodo mi dilettai a costruire un prototipo di macchina con il cartone avanzato dalle scatole per il trasloco. Tra i regali che avevo ricevuto per il mio settimo compleanno c'erano un paio di pattini a rotelle da parte della zia Aurora con cui, nel cortile dell'androne, mi dilettai a cadere e rialzarmi sbucciandomi varie parti del corpo alla volta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 18, 2023 ⏰

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Non ci sono fiori nel deserto - Parte I: Il castello di sabbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora