Pizza, pasta, mandrillone.

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Non ci posso credere. Continuo a camminare sostenuta verso il portellone davanti dell'aereo ma vorrei davvero girarmi.

Stupida deficiente, ma ti pare che si risponde "Un piacere" ad uno che ti ha ringraziato di averlo calmato? O forse ti ha ringraziato di avergli dato un bacio, in quel caso il coglione è lui. Oh. Si, ma se poi fosse così anche tu, avresti dovuto rispondere a tono. Penso sempre così, con mille contradditori e mille paranoie, su q-u-a-l-s-i-a-s-i cosa.


Sono fuori dall'aereo, sono libera dal pensiero e toh toh. Sono a Roma bellezze!


Quando ci siamo trasferiti a Roma 8 anni fa anche io avevo una paura spaventosa dell'aereo, e avevo paura dell'italia, degli italiani e della mafia. Pensavo che Roma girasse attorno al Colosseo. Mio padre, Zackary Port, è un diplomatico piuttosto vecchio, seppur piacente. Non so come sia riuscito a farsi stabilizzare a Roma, ma grazie a lui sono diventata un'appassionata delle migrazioni, della flora e della fauna dei diversi paesi e soprattutto degli gnocchi cacio e pepe come li fanno solo a Roma.


Gli aeroporti di Roma però non mi sono mai piaciuti. E' come se gli italiani non ci sapessero stare dentro, come se si sentissero perennemente fuori posto oppure dentro una grande attrazione turistica. Sono gli unici, e dico gli unici, che comprano cose al duty free all'aeroporto di partenza. Roba che però li rende bellissimi nella loro ingenuità.


Gli italiani, penso, fanno il nido molto più di tanti altri. Nascono e crescono in posti meravigliosi, con una possibilità di accedere alla cultura di ogni genere davvero incredibile. E non vogliono andare via, o forse meglio dire non potevano, non ne avevano i mezzi. Chi dice che c'è qualcosa al di fuori dei confini delle alpi o dei bellissimi mari italiani?


Persa nei miei pensieri quasi mi perdo l'uomo che mi aspetta all'uscita del terminal 1. Li odio. Tanto. Un uomo incravattato, pelato, un po' scocciato regge un cartello dice "Jein Port" e io vorrei tanto dirgli che quello non è lontanamente il mio nome ma mi limito a dire:

- Salve, sono Jane. Stava aspettando me.

Come se non mi avesse ascoltato il tizio mi guarda e mi risponde

- Hello, mmmm, you...mmmm.. Jane. Mr Port..mmm.. come cazzo se dice fija!-

- Daughter - rispondo - ma guardi che parlo benissimo italiano!

Sti cazzo di italiani che non capiscono che uno può anche parlare la loro lingua!

- Ahh, e 'nnamo signorì che la porto a casa!


Ah, i romani. Che personaggi carini. Non si capisce mai se vogliono essere scortesi o solo amichevoli! Questo pare del secondo tipo, quindi azzardo:

- Allora, com'è in questi giorni a Roma?

- Signorì, e come dev'essè. Qua è tutto un magna magna, n'se capisce un cazzo. Scusi, parlo come mangio.

Vorrei davvero rispondere "e allora mangi una merda", ma poi realizzo che anche io parlo in quel modo lì.


C'è un caldo impressionante in questa città. Mi appisolo in macchina, questo raccordo è sempre un incubo. Sogno lui, il mio amore di due giorni. Un sogno breve e intenso. Sono arrivata.


- Oh, my love! - mia mamma, davanti al mio albergo mi viene incontro a braccia aperte. E' bellissima. Una canadese splendente con una foltissima chioma rossiccia e un sorriso di un bianco incredibile.

- Ciao Mamma! - le smollo due baci viscidi sulle guance. Non mi va di stare troppo tempo qui a fare smancerie.

- Sarai stanca, piccola. Vai a riposare. Ci vediamo per cena. -

- Ciao Mamma.-


Ho una specie di tacito accordo con i miei. Ogni volta che vengo a Roma loro mi prendono un albergo. Io accumulo qualche miglia o qualche punto fedeltà e loro tengono comunque i loro ritmi senza tenermi tra le scatole.


- La sua è la 906 signorina Port. Buon soggiorno! -

Sorrideva il tipo alla reception. Lui non poteva sapere. Io il 906 non lo volevo. Mi faceva venire voglia di sesso al solo pensiero.

- Grazie - sforzai un sorriso - Buona giornata -


Presi il mio piccolo bagaglio, mi girai e poi lo vidi, al bar. Il tipico esemplare di mandrillone. Uomo sulla quarantina, brizzolato e bellissimo in un vestito decisamente di alta sartoria che sorseggia quello che sembra dell'ottimo vino bianco.

Ho deciso. E' quello che mi serve per ripulire la mia 906 da un Ray troppo invasivo.


Salgo in camera. Mandrillone è una delle prime parole che ho imparato a Roma, grazie alla mia amica Giulia che chiamava così qualsiasi uomo. Dovrei chiamarla, ma ci penserò dopo. Tiro su i capelli, metto un filo di eyeliner e cambio la camicetta.


Si va in scena.

- Salve, un calice di Muller Thurgau - ordino al cameriere

Sono seduta vicino all'obiettivo che si volta e sorride

- Ottima scelta signorina.-

- Grazie - dico avvicinando le narici al bicchiere per inebriarmi del suo odore

- E' una degustatrice? - continua lui

- Piuttosto un'estimatrice - rispondo

- Beh, signorina.. - fa un gesto con la mano che esprime desiderio di conoscere il mio cognome

- Port -

- Signorina Port, direi che se estima questo vino deve avere qualcosa che le altre non hanno -

- Come saprà, Signor...-

- Luzzanti -

- Come saprà, Signor Luzzanti, la scelta del vino determina il carattere di una persona. In tutto e per tutto -

Lui ha uno sguardo chiaro. Mi vuole sua. Si vede da come mi sorride con gli occhi che si spostano in maniera veloce tra il mio viso, il mio seno e le mie cosce

- Allora lei è una persona fruttata? -

- Vivace direi -

E così finisco il bicchiere di vino d'un sorso e mi alzo, avviandomi verso l'ascensore. A metà strada mi giro, lui è lì con una faccia da ebete. Lo guardo. Gli sorrido e lui si alza.

Che il gioco abbia inizio, mandrillone caro.




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