Anniversario

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Ci guardiamo per degli attimi infiniti. I flashback e il dolore tornano nel mio petto che sembra stia per scoppiare. Distolgo lo sguardo in cerca di una figura amica ma nelle hall degli alberghi non se ne trovano mai. Si trovano sguardi languidi, famiglie di ritorno dai loro giri turistici e persone anonime che entrano stanche alla ricerca di un letto confortevole. Nessuno mi porterà fuori da quello sguardo che mi ha ingabbiato così tanto.

"Hey, ti senti bene?" - Marco mi guarda con uno sguardo che sembra sinceramente preoccupato

"Come vuoi che stia?" sibilo. Mi intimidisce. Lui si avvicina e afferra la mia mano con la semplice intenzione di guidarmi fuori dall'albergo. Il mio corpo si irrigidisce e io comincio a sentire dolore fisico, i flashback si impossessano di me e non riesco a liberarmene.

Era dicembre e faceva un freddo come non mai. Quell'anno a Roma nevicò e fu un evento straordinario. Ricordo la gioia negli occhi dei bambini e il sentimento di euforia e paura nello sguardo delle persone. Ricordo con divertimento i supermercati svuotati e il grande raccordo anulare bloccato perché si sa, nessuno a Roma ha le ruote termiche. Mi ricordo che con mio padre ci facemmo delle grosse risate a pensare a quanto comica fosse la situazione. Per noi, canadesi, quella spolverata di neve era come se non esistesse. Io e marco ormai eravamo al nostro terzo anniversario e io ero innamorata pazza di lui. Mi coccolava, mi amava in ogni modo e mi faceva sentire viva e al posto giusto. Era strano in quel periodo, aveva cambiato il suo giro di amicizie, si era allontanato dal mondo della musica e mi sembrava sempre tormentato. Quando mi spogliavo davanti ai suoi occhi mi sentivo osservata, perlustrata ovunque. Nei suoi occhi leggevo una malizia che non aveva mai avuto prima e sulle sue labbra a volte si formava un ghigno che non sapevo spiegarmi. Ma ci passavo sopra. Mi faceva sua sempre e sempre di più, diventò quasi insaziabile, ma io ne ero felice perché infondo per me era un segnale positivo.

Da quel giorno al parco tra di noi cominciò un gioco infinito di tira e molla, baci rubati, amori passeggeri e chiamate mai risposte. Dopo un anno, il giorno del mio diciottesimo compleanno, Marco mi aveva chiesto di stare con lui sempre perché io a sua detta ero la lunga maratona da riuscire a correre e vincere. Trovai la metafora divertente. Tre anni dopo ci trovavamo nella mia stanza a guardare la neve fuori dal balcone. Indossavo un vestito di velluto nero con le maniche lunghe e trasparenti, delle calze troppo leggere per il freddo e degli stivaletti che rendevano il mio outfit più casual.

"Allora, dove mi porti per questo anniversario?" - dissi fremendo dalla voglia di un'ottima cena con dell'ottimo vino

"Vedrai" - ghignò, e questa volta me ne accorsi. Un brivido mi percorse la schiena e io provai per un momento la sensazione di non essere nel posto giusto, e non era mai successo prima. Scossi la testa quasi a volermi liberare da quella sensazione e sorrisi. Ripassai il rossetto rosso fuoco e gli diedi la mano.

"Sorprendimi" dissi baciandogli leggermente le labbra

"Oh. Lo farò" mi rispose lui.

Eravamo stranamente silenziosi e Marco aveva un'espressione indecifrabile sul volto. Ci stavamo allontanando dal centro, così pensai a qualche ristorantino defilato per la cena. Faceva freddissimo e la macchina era ancora troppo fredda.

"Tra poco non avrai più freddo" mi disse lui

"Dove mi porti?" risposi sorridendo

"La curiosità non è una virtù a volte" mi rispose. Trovai la sua risposta sbagliata, fuori luogo e sentii una fitta al cuore, un po' come quando ci si sente le farfalle nello stomaco, ma l'equivalente negativo.

Marco accostò la macchina sul ciglio della strada, mise le quattro frecce e mi chiese "Ti fidi di me?"

Qualcosa dentro di me in quel momento mi diceva di non fidarmi, ma io di lui mi ero sempre fidata e sapevo in cuor mio che lo avrei fatto per sempre. Ero innamorata.

"Come potrei non farlo?" lo guardai teneramente ma mi trovai di nuovo di fronte a quel ghigno.

"Allora tieni". Aprì il cruscotto e ne estrasse uno spesso lembo di tessuto di sera rosso. Me lo mise sul volto e lo legò stretto dietro la mia nuca. La benda mi copriva gli occhi e il naso e io ridacchiai emozionata.

"Ti sei dato da fare" dissi.

"Puoi dirlo forte" rispose ridendo. E poi continuò a guidare verso un luogo che non avrei mai conosciuto.

Sentivo il vento caldo dalle bocchette dell'aria arrivarmi sulle gambe, sul viso e spostavo le mani in avanti alla ricerca di quel calore quasi fuori luogo. Quella benda mi dava fastidio, così come quel silenzio che si era messo tra me e Marco e quelle note di Beethoven che sembravano perforarmi il timpano. Stare senza un senso quando si è cresciuti con tutti e cinque i sensi è un'esperienza strana che non raccomanderei ad una persona curiosa, ma lascia tantissimo spazio alle persone immaginative. Io sono un po' entrambi i tipi di persona, ma in quella situazione lasciai che la mia immaginazione prendesse il sopravvento. Immaginavo la neve depositata sull'erba e le macchine accanto alla nostra piene di famiglie che scappano dalla città alla ricerca di un po' di pace invernale, alla ricerca di quella natura che tanto manca nella città. Sapevo che non eravamo in città perché la guida di Marco era sicura e senza impedimenti. Provai a parlare, ma era come se la mia bocca fosse tappata come i miei occhi, come se rompere quel silenzio fosse sacrilego.

Dopo un'oretta di silenzio straziante sentii Marco frenare, ruotare la chiave e tirare il freno a mano. Non c'era aria calda che usciva dalle bocchette dell'aria e io cominciai a sentire brividi di eccitazione percorrermi la schiena.

"Ora possiamo togliere questa" - dissi provando a scostare la benda dai miei occhi

"Eh no" disse lui. Mi prese le mani e le strinse dai polsi, faceva quasi male come faceva male immaginare quel ghigno che mi piaceva così poco. "Vieni" disse più dolce.

Entrammo in un posto freddo. Sentii le mani di Marco togliermi la giacca e la pelle reagire al contatto con l'aria gelida. Sentivo la pelle d'oca a contatto con le maniche di tulle e mi sentivo elettrica. Udii il rumore di un tappo saltare e dentro la mia testa passò un "Oh" di delusione per non aver stappato la bottiglia con lui. I passi di Marco si facevano vicini e io scalpitavo perché mi togliesse quella benda rantolando, lui di tutta risposta mi spostò la testa all'indietro e mi fece bere quel liquido divino. Percepivo le bollicine scoppiarmi in gola e le gambe diventare molli ad ogni sorso in più facessi. Provai un misto di sensazioni contrastanti e bellissime. Poi il buio

Up in the airDove le storie prendono vita. Scoprilo ora