9. Jazz Jam

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Aprile, 2017.

Edward.

Quel venerdì la parola d'ordine allo Chat Noir era Memento Audere Semper. Quando la pronunciai, fui subito accolto nello locale che era stato appositamente addobbato per la serata. Anni '20: questo il tema. Luci soffuse, lampade accese su ogni tavolino e musica in sottofondo delicata.

Freya mi aspettava già dentro; l'avevo lasciata all'ingresso per cercare parcheggio, proprio perchè in quella serata, con il sold out al locale, era impossibile trovarne.
Non appena la raggiunsi, mi fu impossibile non rimanere quasi ammaliato dalla sua bellezza. «Sei bellissima!» Esclamai. Lei sussultò per lo spavento, ma si voltò non appena riconobbe la mia voce.

«Anche tu, cucciolo. Stai benissimo.» Disse. Mi lasciò subito dopo un bacio sulla guancia, con ancora le labbra rosee e pulite dal rossetto che a breve avrebbe indossato .
Salutai i nostri colleghi, Peter e Adam, che accompagnavano le nostre musiche con batteria e contrabbasso, e mi avvicinai al bancone per ordinare un whisky ghiacciato.
Era da un po' che avevo familiarizzato con il whisky, alcolico preferito di mio padre, ma avevo imparato, con il tempo, a dosarlo in maniera corretta, considerate le esperienze mie e sue.

Mancavano tre minuti alle dieci e a quell'ora precisa saremmo dovuti essere sul palco per dare inizio alla serata.
La gente entrava copiosa all'interno del locale, tutti agghindati e vestiti a tema, come lo Chat imponeva quel venerdì di aprile.
Alle dieci in punto fui sul palco, portando con me il bicchiere di whisky che avrei poggiato sul pianoforte a coda. Di fronte a me Peter e Adam, con due completi abbastanza simili, a righe, e dei berretti sulla testa, e Freya al centro del palco che sistemava il suo sgabello, con in braccio il sassofono dorato. Era davvero splendida, quella sera. Il dorato dello strumento si abbinava al suo vestito, un tubino lungo fino al ginocchio, fatto di lustrini e glitter color oro. Aveva le mani guantate di bianco, come tutti nel gruppo, e sulla testa una fascetta piumata. Ma la cosa che risaltava di più erano i tre giri di perle che portava al collo,seguite poi dal rouge pour couture solito che contornava il beccuccio del sassofono.

C'era caldo. E fu proprio quello il motivo per cui rinunciai a gilet, giacca e capello e lasciai che il mio corpo si fasciasse di una sola camicia e dei pantaloni scuri. Avevo comunque portato la giacca, per evitare di essere sgridato dal proprietario, ma l'avevo lasciata sul sedile del pianoforte, e lí sarebbe rimasta tutta la sera. L'unico accessorio che era rimasto insieme ai guanti, sul mio corpo, erano le bretelle blu, abbinate ai pantaloni, che stringevano il tessuto bianco della mia camicia lasciata aperta di qualche bottone.

Sorseggiai un'ultima volta il liquido ambrato nel mio bicchiere e lascia che Freya iniziasse il suo canto. Seguimmo io, il basso e infine la batteria nel ritmo allegro che Freya andava cadenzando con il suo sax. Ero finalmente felice di essere tornato Mr. Hyde per la notte dopo tutto quel tempo in cui avevo dovuto essere Jekyll, e vivere giornate di puro stress con l'arrivo di Louis e il suo tornado emozionale.

Suonammo per una prima decina di minuti, per poi circondarci degli applausi generali e riposare qualche e minuto.
«Grazie.... Buonasera, noi siamo i Jazz Jam.»Salutò Fey.

Era un nome piuttosto buffo, a primo impatto. Lo riconoscevo. Ero stato io stesso, tuttavia, a sceglierlo. Erano passati mesi in cui vari nomi ipotetici ci venivano affibbiati, ma alla fine, nessuno riusciva a rappresentarci nella maniera giusta. Solo un giorno, quando ormai c'eravamo arresi, io e la mia amica norvegese stavamo facendo una sana merenda con pane e marmellata, e da lì l'eureka. Dopo qualche secondo di incomprensibili confabulii, ero giunto alla conclusione con il nome. Freya rise. Ma poi le spiegai: le jam session sono delle vere proprie sessioni musicali di jazz in cui vige la mera improvvisazione. Considerato lo stile della nostra band, in cui la maggior parte delle nostre musiche erano frutto della casualità , e spesso sul palco lasciavamo che fosse l'improvvisazione stessa a inglobarci nel suo mondo, il nome era perfetto.
Era andato bene a entrambi, tranne la precedente coppia basso-batteria che, per vari motivi, ci aveva lasciato soli. Non era da molto tempo,infatti, che Peter e Adam si erano uniti al nostro duo. Li avevamo trovati per caso, proprio allo Chat Noir.

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