12. Vuoto

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Aprile,2010.

Lo studio del Dottor Cavendish era completamente e inglobato nel fumo grigiastro che fluttuava nell'ambiente. Finestre chiuse, polvere sulle mensole, libri chiusi sulla sua scrivania. Il pavimento in legno splendeva del riflesso dell'unica fonte di luce presente nella stanza, che lottava contro la tenebra che cercava di governare. Illuminati da quel fascio di luce fioca, Claudia e Joseph Cavendish da un lato della scrivania di ciliegio scuro, mentre sulla poltrona verde scuro, trapuntata e incorniciata dello stesso legno della scrivania che li separava, Ernest Cavendish, e di fianco a sé, in un angolo buio, sua moglie Edith che, con le braccia conserte, fissava la coppia di genitori che sedeva lì vicino.

«Sto morendo. E questo è un dato di fatto.» Preannunciò, portando alle labbra il sigaro rossiccio e facendone bruciare la punta.

Claudia sembrava infastidita dall'odore pungente che il tabacco cubano emanava una volta toccata fiamma, mentre seduto alla sua destra, Joseph ne era completamente inebriato.
«Si, padre.» Annuì quest'ultimo, incitandolo a procedere. Ignoravano il motivo di quella riunione improvvisa, di lunedì sera.

«Vi ho chiamati qui per discutere del mio testamento, essendo tu, Joseph, il mio unico figlio e tu, Claudia, mia unica nuora. Prima che possa iniziare una qualsiasi e molto probabile controversia o sorgano difficoltà di qualsiasi natura con mia moglie riguardo il suo contenuto, siamo in riunione per chiarire alcune clausole e condizioni affinché ognuno possa usufruire della mia eredità una volta che sarò passato a miglior vita.» Edith si schiarì la voce rumorosamente. Tutti gli altri rimasero in silenzio.

Ernest si lasciò sfuggire un colpo di tosse, coprendosi la bocca con un fazzoletto bianco che sapeva, inevitabilmente, si sarebbe macchiato di rosso in breve tempo. Lo mise via velocemente e prese tra le dita della mano sinistra il testamento, mentre con l'altra sistemava la montatura dei suoi occhiali da vista.

Claudia azzardò un movimento verso di lui, per sistemare la lampada affinché il foglio bianco fosse illuminato al meglio. Il suocero la guardò torvo.

«Io sottoscritto, Ernest Joseph Cavendish, nato a Londra, il 5 Settembre dell'anno 1935, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, desidero disporre del mio patrimonio per il tempo in cui avrò cessato di vivere nel seguente modo.» Fece una pausa che fece trasalire tutti i presenti. Dentro di sé ridacchiò colpevole.

«Affido la mia attuale residenza e la proprietà secondaria in Toscana a mia moglie, Edith Cavendish e una somma di sterline duecentocinquantamila.
Lego a mio nipote Edward James Cavendish la Chevrolet Corvette nera e la mia collezione di orologi da polso.

Affido interamente a mio figlio, Joseph Benedict Cavendish e sua moglie Claudia Evans la somma in denaro di sterline settecentocinquantamila.» Dopo aver letto le prime concessioni ci fu una seconda pausa, più lunga, che lasciò la coppia con il fiato sospeso.
«Alla condizione unica che il mio unico nipote si sposi e abbia una famiglia del tipo tradizionale e non venga mai a contatto con ignobili oscenità omosessuali.» Ernest fece un altro tiro dal sigaro e sospirò subito dopo.

Ci fu un silenzio assordante.

Edith, nascosta, scuoteva la testa furiosa. Claudia giurò di aver visto le sue orecchie fischiare per la rabbia. Non erano mai andate d'accordo, loro due.

Il primo che ebbe il coraggio di parlare fu Joseph.

«Quindi deve lasciare il ragazzetto.» Pronunciò, in direzione di Claudia. Lei poggiò una mano sul suo ginocchio, e annuì.
«Se il ragazzo è frocio, non avrete accesso a nulla, lui compreso. Non voglio pensare al dispiacere che mi potrebbe dare e quanto danno arrecherebbe alla famiglia.» Rispose il nonno.
« Macchierebbe la reputazione degli Cavendish.» Avvisò Claudia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 24 ⏰

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