4. Briciole di pece

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Febbraio,2010

Charlie.

Non so se suonare sia sempre stata la mia passione o me la sia cucita addosso dopo  le infinite ore di corsi di musica che ho dovuto subire sotto ordine di mia madre. Tuttavia, mi sembra di capire di essere abbastanza bravo, o almeno, credo di cavarmela, perciò, quando ottenni il posto nell'orchestra giovanile di Londra, fui al settimo cielo. 

La mia audizione fu un po' imbarazzante: avevo portato un ottimo pezzo, e 
in realtà, lo suonai da cima a fondo senza margine di errore. Perfetto. Di fatto, non era un pezzo troppo difficile.  Ma il motivo del forte imbarazzo che fa ombra sul ricordo è la presentazione che feci: per poco non inciampai su una delle gambe del pianoforte  presente nella stanza, facendo prendere un grosso spavento al direttore dell'orchestra e al suo assistente.

«Tutto bene?» Mi chiese, infatti.

«Si, si, si , si ,tutto perfettamente ok. Sono a posto, signore.» Dalla mia bocca uscì un fiume di parole incontrollabile. Fui rosso in viso dopo due secondi e mezzo.

Non sono una persona impacciata, ma i primi anni in cui entrai a far parte di quell'ambiente mi mostrai per tutta la mia esagerata goffaggine.

Il primo giorno in cui misi piede nella sala prova assegnata all'orchestra junior fu un disastro. L'orario di inizio era fissato per le tre e mezza del pomeriggio, ma arrivai in ritardo.

Non mi era mai capitato prima.

Sprizzavo imbarazzo da ogni poro del mio corpo.

Scesi dalla mia auto di fretta, dirigendomi prima a prendere lo strumento dal portabagagli, e poi ad attraversare le strisce pedonali e entrare nell'edificio. Avevo preso la patente da poco più di un anno, e ne ero abbastanza orgoglioso, sennonché  la mia auto fosse inguardabile.

Una vera e propria carretta che si reggeva in piedi grazie a del nastro isolante e qualche saldatura di troppo. L'avevo ereditata dal mio padre adottivo. Era, forse, l'unica cosa ch mi teneva davvero legato a lui, proprio perchè quello che non ci legava era il sangue.

Quando le mie mani spinsero la porta d'ingresso, permettendomi di entrare, corsi più velocemente possibile. Si erano fatte le quattro e un quarto, e il mio cervello già proiettava possibili situazioni a partire dal mio arrivo in sala. Ero preoccupato di essre sgridato davanti a tutti, o di avere lo sguardo di ogni persona su di me.

L'ultima cosa che volevo era attirare l'attenzione.

Una volta giunto quasi sulle scale, il mio passo rallentò, senza però fermarsi. Feci qualche scalino di fretta, cercando di fare meno rumore possibile.

Ero intenzionato a sgattaiolare  silenziosamente all'ultimo posto senza che nessuno si potesse accorgere della mia precedente assenza, tirare fuori lo strumento e suonare come se non fosse successo nulla.

Certo, una bella idea.

Meravigliosa, anzi.

Purtroppo però mi fu impedita dal fatto che inciampai e gli ultimi sei scalini li feci rotolando, assieme al mio strumento.

La musica si fermò di colpo.

Sentii una tromba gridare di spavento, mentre a me mancò il fiato per qualche secondo.

Quando finalmente atterrai sul pavimento, mi rannicchiai in posizione fetale, in segno di protezione.
Non dovetti aspettare molto prima che l'intero corpo orchestrale si radunasse attorno a me, circondandomi di un vociare insopportabile.

«Sta bene?»

«Credo di sì, sembrerebbe cosciente. Proviamo a farlo  alzare.» Ed è lì che sentii un dolore lancinante alla caviglia sinistra. 

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