Capitolo 14

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Capitolo 14
I felt you leaving, even before you did.

Il mattino successivo fu un po' triste. Louis andò al college in perfetto orario, ma sentiva come un peso sul petto che lo faceva respirare male.
Sapeva che Harry non ci sarebbe stato quel giorno, e sapeva che non ci sarebbe stato in tutti gli altri giorni a seguire.
Entrò in aula con la cartella che penzolava da una spalla e si sedette tra gli ultimi banchi, aprendo già i quaderni e aspettando che la classe si riempisse.
Presto arrivarono i compagni e il professore di matematica entrò silenziosamente. Quell'uomo era anziano, eppure aveva ancora un fascino particolare; probabilmente perché gli ricordava suo nonno, quindi lo vedeva bello perché gli voleva bene.
-Buongiorno ragazzi- aveva il fiatone a causa di tutte le scale che era obbligato a salire -Oggi ho avuto un'idea straordinaria. Una di quelle che potete trovare solamente qui con me- si sedette alla cattedra e i ragazzi tesero le orecchie verso di lui, infondo era il preferito di tutti -Come sapete a scuola si insegna tutto, giusto? Ma qualcuno ha mai avuto la straordinaria idea di insegnare ai ragazzi come si può affrontare il...- prese un attimo di pausa così da aumentare la curiosità -...dolore causato dall'amore?- Louis fece un cipiglio confuso.

-Vuole affrontarlo con la matematica?- chiese uno dei tanti alunni al primo banco.
-No, voglio affrontarlo con il cuore- poi sorrise -E ovviamente lo affronteremo anche con la matematica- Louis si sedette più diritto e ascoltò l'uomo -Come sapete il nostro cervello non è altro che un produttore di ormoni, impulsi e, soprattutto, è un maniaco del controllo. Ogni pensiero, ogni memoria ed ogni parola dipendono tutto da ciò che il vostro cervello vuole spiegare. Ma allora quando si è tristi, perché il cervello non si oppone?-
-Probabilmente perché la tristezza è uno stato involontario- il professore si imbruttì appena.

-Quasi, ma non proprio. È vero che certi segnali emanati sono involontari, ma in realtà il dolore perpetuo, o la depressione, dipendono da uno stato inconscio a noi stessi ma ben conscio al cervello- spiegò -Facciamo un esempio: io ho una biglia di vetro molto cara, alla quale la mia mente ha collegato tanti ricordi. Ora facciamo che la mia biglia cade e si rompe, ci resto male, giusto?- i ragazzi annuirono -Bene, questo perché vedo ogni ricordo sbriciolarsi sotto i miei occhi. Allora provo a trovare un tentavo per ricomporlo e farlo tornare com'era prima, quindi cerco di rimetterli insieme tramite della colla che, purtroppo, lascerà segni fin troppo evidenti- si alzò dalla cattedra -È come andare un po' contro le leggi della matematica, infatti imponiamo che la biglia non rimarrà più uguale a se stessa, perché esteticamente sarà diversa. Il solo fatto di vederla rovinata, piena di crepe, fa in modo che il nostro cervello rilasci poca serotonina e in parole povere ci sentiamo tristi- aprì un libro.

-Scusi prof, ma non capisco dove sia la risposta nel trovare una soluzione al dolore- fu Horan a parlare e Louis sorrise, perché provava una certa simpatia per quel ragazzo. Era amico di Harry e lo sapeva benissimo, solo che non ebbero mai tempo per uscire realmente.
-La risposta sta in noi stessi, Horan- disse il professore -È vero che la biglia va contro le leggi della matematica, ma è ciò che contiene che riesce a rendere veritiero ogni assioma- sorrise e i si sentì qualche sospiro in aula -Ogni cosa che proviamo, ogni sentimento che viene portato a galla da noi stessi, rimane uguale anche se ciò che lo contiene si distrugge. In matematica questo è noto come l'assioma dell'uguaglianza, secondo il quale x sarà sempre uguale a se stessa, indipendentemente da ciò che la circonda e da ciò che la cambia, x sarà sempre x. Quindi noi possiamo conservare i ricordi in una biglia, in una foglia oppure in un semplice foglio di carta, ma non è il mezzo a renderlo speciale, ma noi stessi-
-Quindi una cosa farà male sempre?- chiese una ragazza in fondo all'aula. Il professore scosse la testa.
-Una cosa fa male finché gli diamo il potere di farlo- si sedette sulla cattedra.

-Come si può impedire a qualcuno di farci male?- chiese Leslie, una ragazza che ha sempre frequentato gli stessi corsi di Louis.
-Non possiamo farlo- disse il professore, -ma possiamo limitare il dolore, ricordandoci che, prima di tutto, ci siamo noi- Louis, senza pensarci due volte, parlò.
-E se amassimo qualcuno più di quanto avessimo mai amato noi stessi?-
-Cosa vuoi dire?- il ragazzo si morse il labbro inferiore e strinse le mani tra loro.
-Se io amassi una persona più di quanto mi abbiano mai amato, come crede che possa mettere me al primo posto?-
-Facile, per amare qualcuno prima si deve amare incondizionatamente se stessi, e con questo non intendo essere narcisista e affogare in un lago perché si ama troppo come appariamo- spiegò -Ma si deve essere in grado di saper...disinnescare ogni conflitto che abbiamo con noi stessi, e questo farà in modo che voi siate in grado di disinnescare qualsiasi discorso con l'altro partner-
-Disinnescare?-
-Sì, lasciare andare. Mettere un punto- Louis annuì -So che può sembrare difficile, ma amare qualcuno non impone la sofferenza. È normale starci male, ma non deve essere un abitudine. L'amore deve renderci belli, non tristi-

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