Viveva in cinquanta metri quadrati di casa, con un solo bagno senza finestra e un salotto che fungeva da camera da letto e cucina insieme. Raccontava la sua storia seduto sul divano della sua casa-stanza, un divano in pelle distrutto, con una canna tra le labbra, che poi si passava sulle dita, e un sorriso da bambino cresciuto troppo in fretta. Raccontava delle sue case in affido, delle sue famiglie affidatarie mentre parlava della mamma, del suo cercare di mantenere un rapporto con lui nonostante fosse difficile e dei suoi numerosi lavori per cercare di mantenerlo e riprenderselo. I suoi amici lo circondavano aggiungendo particolari ai suoi racconti, mentre io e altre ragazze, finite lì per caso, pendevamo dalle sue labbra. Alcuni dei ragazzi che lo circondavano si alzarono per presentarsi (piacere Mirko, piacere Andrea, piacere Matteo, piacere Alessandro, piacere, piacere), ma poco li ascoltavo quando alcuni di loro insistevano per parlare (allora? che fai nella vita? quanti anni hai? dove abiti? come conosci gli altri?). Mario si alzò dal divano a mezzanotte e mezza inoltrata per prendersi una birra dal frigo. E solo allora mi notò. <Ciao, saresti?> chiese disinvolto mentre apriva il frigo. <Piacere, Beatrice> dissi in risposta, cercando di sorridere e riponendo il telefono nella tasca posteriore dei miei jeans. <Sono Mario. Come ci sei finita qui dentro?> controbattè mentre sorseggiava la birra che aveva aperto rapidamente con il dorso di una forchetta. <La mia amica Laura conosce Matteo, hanno frequentato dei corsi comuni all'università> risposi annuendo. Anche lui fece un segno di assenso con la testa. <Quindi ti ha trascinata lei> concluse, continuando a guardarmi, aspettandosi uno sviluppo nel mio racconto. <Sì, diciamo che più trascinarmi, mi ha obbligata, però vabbè il concetto forse è lo stesso> sorrisi imbarazzata. Anche lui ricambiò, sedendosi in una delle sedie sparse in cucina. <Tu che studi?> chiese poi. <Lettere. Ho conosciuto sia Laura che Matteo perché alcuni corsi che ho sono a scelta libera e in comune con le due facoltà> spiegai brevemente. <Lettere classiche o moderne?> continuò. <Classiche> risposi con una punta di fierezza, la stessa che inserivo ogni volta che qualcuno mi chiedeva in che cosa consistesse il mio corso di studi. Mario parve notarlo: <Ti piace proprio tanto per dirlo con così tanto orgoglio> commentò ridendo. Annuii e risi anche io: <Sì, nonostante ci siano stati tanti bassi piuttosto che tanti alti, ma sono fiduciosa> mormorai sinceramente. <Oh, ad esempio?> chiese. <Ho dovuto rifare due degli esami di indirizzo rispettivamente quattro e cinque volte e per tanto tempo, per questo, mi sono sentita nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poi, alla fine, riprovandoci ancora e ancora, li ho passati, ma non come volevo> spiegai in fretta. Era un argomento piuttosto spinoso e doloroso per me, nonostante fossi orgogliosa di come avevo gestito la situazione: la pressione, la paura di non farcela, la voglia di cambiare indirizzo, le lacrime la notte sentendomi sola al mondo e un pesce fuor d'acqua. Ma c'erano delle cose, piccole e insignificanti, che in quei tre anni mi avevano fatto andare avanti nonostante tutta la negatività: il sostegno della mia famiglia, seppur lontana: le loro voci al telefono, le loro frasi filosofiche su whatsapp a tarda notte e le nostre vacanze; l'allegria dei miei amici durante i pranzi nel fine settimana e durante le gite; i libri che mi leggevo la sera; i film dopo cena o durante le vacanze; le canzoni e i cantanti. <Perché hai continuato? Insomma, io forse avrei mollato tutto> mormorò ridacchiando, tirandomi fuori da quel flusso di coscienza. <Perché volevo tanto quella laurea, dire che mi ero laureata in lettere classiche, che quelle materie che per tanto tempo ho sentito mie erano mie effettivamente> dissi senza incertezza. Lui sorrise. <È bello quello che mi dici> commentò, buttando la bottiglia di birra e prendendo un bicchiere per poi versarci dentro dell'acqua. <È bello anche come hai affrontato tutto, come hai ammesso tutto, sai non è facile né da tutti> continuò. Sorseggiò dell'acqua, per poi condividere qualcosa con me. Nel frattempo, si erano fatte le due, le persone iniziavano ad andarsene e nel salotto rimanevano Matteo e Laura, Mirko e Andrea. <Come avrai sentito la mia storia è abbastanza complessa. Non ti rifilerò la storia dell'affido e tutto> ridacchiò. <Ma quello che ci accomuna è l'andare avanti nonostante tutto. Credo che anche tu abbia sofferto in questi anni no? Non solo per l'università> affermò. Ripensai alla mia storia di due anni che finiva con una telefonata una sera di inizio maggio, alla diagnosi di mio nonno, alla ripresa della storia a singhiozzi con parentesi di tradimenti e insicurezze varie, ai nuovi personaggi che avevo accolto che non avevano fatto altro che minare e intaccare la mia autostima già abbastanza bassa, e quel carico di amicizie false che avevo protetto per mesi e che poi avevo deciso di mollare. <Diciamo di sì> mormorai assente con un sorriso triste in bilico sul mio viso. <Amore?> incalzò Mario che nel frattempo si era acceso una sigaretta. <Tanti tipi di amore> annuii vuota. <Ho chiuso con la mia ragazza di cinque anni due anni fa> esordì dopo qualche minuto di silenzio, interrotto dalle risate degli altri. <E ha fatto male, e anche noi abbiamo avuto quella fase classica di tira e molla. Poi ci siamo chiariti e ora siamo tipo amici, cioè se lei mi chiama dicendo che sta male, io sono da lei in dieci minuti. È stata una persona importante della mia vita, non so come si evolverà il nostro rapporto, ma sai son contento di quello che è ora> raccontò. A quelle parole mi spaventai perché immaginai un ipotetico interesse nei suoi confronti con questa ombra dal suo passato sempre in mezzo. Poi rilassai le spalle, dicendomi che stavo correndo troppo, e di lasciar stare perché veramente i rapporti umani sono un continuo evolversi e un continuo colpo di scena. <Ti ammiro tanto, io non sono mai stata in grado di fare una roba simile. Ho accettato rapporti a metà, ho perdonato tradimenti e mancanze di rispetto abbastanza pesanti, ma una roba del genere mai. Penso che sia soggettivo> dissi, annuendo tra me e me. Mario mi fissò un attimo fumando l'ultimo tiro della sigaretta, per poi schiacciarla in un bicchiere di vetro adibito a posacenere. <È soggettivo> ripetè. Dopo quella frase calò un silenzio gelido tra noi, così decisi di andare da Laura, che si stava mezzo addormentando sul divano, mentre gli amici superstiti di Mario stavano cercando di sistemare il casino della casa. Erano stanchi pure loro, quindi il proprietario li cacciò via bonariamente (andate via che state dormendo in piedi, ci sentiamo domani). Rimanemmo io, lui e la mia amica ormai nel mondo dei sogni. <Se volete potete stare a dormire qua. Quanto distate da qui?> chiese premuroso mentre buttava i bicchieri di plastica in un bustone blu trasparente. <Siamo a dieci minuti in macchina da qua, ho parcheggiato qui sotto> dissi, scuotendo la mia amica per farla almeno essere cosciente fino al parcheggio. <Okay okay. Se volete posso riaccompagnarvi io, la macchina la lasciate qua e poi la riprendi domani mattina> propose ancora. Mi guardò un istante negli occhi, prima di riprendere il suo sistemare casa. <Oh no grazie figurati non c'è bisogno. Guiderò io che sono abbastanza sveglia e sobria, vero Lauretta?> borbottai alla mia amica che aprì gli occhi. <Matteo?> chiese. Sbuffai e roteai gli occhi al cielo. <Quel povero ragazzo è andato giustamente a casa sua a dormire, cosa che dovremmo fare anche noi perché Mario giustamente non ci tollera più> mi lamentai. <Oh giusto okay. Grazie Mario, scusa se ci siamo trattenute così a lungo> disse, alzandosi dal divano e dirigendosi alla porta di ingresso. <Vuoi aiuto per sistemare?> gli chiesi. Lui scosse la testa: <Il grosso lo pulirò domani>. Annuii. <Allora grazie e buonanotte>. Tirò su la testa e sorrise: <Buonanotte e a presto>.
