Acqua Santa

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Londra - 1941 - Al termine di una rocambolesca nottata


Seduto - con il busto leggermente reclinato all'indietro e le caviglie incrociate - sulla propria poltrona imbottita, Aziraphale si strofinò nuovamente, soprappensiero, l'indice della mano destra tra naso e bocca. Poco distante da lui, abbandonati su una tavola adesso sgombra, due calici di vino vuoti si tenevano compagnia rimanendo vicini.

Crowley era andato via da un tempo che - abbandonato ai suoi pensieri offuscati dal vino e dalla gioia di essere sopravvissuto a spie naziste e demoni in cerca di promozioni facili - non sarebbe stato in grado di stabilire in modo chiaro. Come non sarebbe stato in grado di affermare con certezza da quanto stesse fissando immobile la sua valigetta piena di libri antichi, scampata "per un piccolo miracolo da demone" a un bombardamento che aveva privato Londra di un'altra chiesa ma - in cambio - le aveva donato alcuni zombie in rapido disfacimento.

Forse aveva iniziato ad osservarla con attenzione quando il demone vi aveva appoggiato di fianco gli occhiali da sole, stanco di aggiungere un ulteriore strato di oscurità a quello della stanza (scarsamente illuminata solo dal tenue bagliore delle candele) e delle sue pupille allungate che, per loro stessa conformazione, lasciavano filtrare la luce in modo limitato. Lo aveva fatto in modo naturale, con un piccolo sbuffo, trasformando il gesto in un movimento fluido simile ad una danza. Le dita affusolate della mano destra strette attorno al calice di vino con il quale stavano accompagnando la cena frugale (d'altro canto non sarebbe stato gentile verso gli Uomini, far comparire un lauto banchetto mentre il mondo era nel pieno di un conflitto bellico di proporzioni catastrofiche) aveva chiuso quelle della mano sinistra attorno all'asticella della montatura togliendosi gli occhiali, richiudendoli e posandoli di fianco alla sua borsa tutto con un unico movimento del polso.

Aziraphale aveva seguito quella gestualità quasi incantato, così come lo era rimasto nel rincontrare - dopo secoli - il giallo intenso e screziato delle iridi dell'altro.

«Qualcosa non va, Angelo?» lo aveva interrogato lui.

«No, no...» si era sbrigato a rispondere, distogliendo lo sguardo e dando una profonda sorsata al proprio vino.

Crowley aveva aggrottato le sopracciglia, sospettoso, ma aveva deciso di lasciar perdere. Parlare con Aziraphale era incredibilmente semplice quanto sorprendentemente complicato. Era come se utilizzasse due lingue completamente diverse: con una proferiva le parole reali, concrete, quelle che il demone percepiva chiaramente; e poi - sospeso tra quelle - sembrava esserci un intero altro linguaggio, fatto di silenzi modulati e cangianti. Una linguaggio nel linguaggio che riusciva a scorgere appena e che lo confondeva come nient'altro nel Creato era in grado di fare.

Avevano proseguito la loro serata conversando del più e del meno, della Guerra, del povero Furfur incapace di pronunciare correttamente il nome dell'angelo e dell'incredibile quanto (quasi) mortale spettacolo di magia. Alla fine Crowley si era congedato, inforcando nuovamente gli occhiali prima di salutare l'altro con un leggero tocco alla falda del cappello.

Aziraphale lo aveva seguito con lo sguardo fino a vederlo sparire oltre la porta d'ingresso e, non appena quella si era richiusa alle sue spalle, era scattato in piedi. Si era guardato nervosamente attorno, con un vago malessere che iniziava a irradiarsi all'altezza del petto: la stanza sembrava di colpo più buia senza Crowley, quasi l'oro dei suoi occhi - si trovò a pensare confusamente - fosse stato luminoso come un'ulteriore fiamma.

Disorientato e imbarazzato si era trascinato fino alla sua poltrona, dove si era lasciato cadere con un piccolo tonfo. Con un movimento della mano destra aveva provveduto a sparecchiare, anche se i due calici proprio non ne avevano voluto sapere di tornare nella credenza.

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