8 - Proposta inaspettata

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Lord Blackeye si fermò di fronte ad una porta. «Questa è la tua stanza. In altre circostanze ti avremmo assegnato all'ala della nostra Casata, ma sei sotto la protezione dell'Imperatore, quindi la tua camera è vicino a quelle dei Bloodwood». Dopo avermi spiegato come orientarmi se ne andò, sottolineando più volte che non dovevo uscire se non dietro ordine di Wladimir.

Entrai, e mi trovai di fronte una stanza medievale. Il letto da una piazza era addossato ad una parete, mentre sul lato opposto di trovava una scrivania piuttosto antica. La tappezzeria aveva toni scuri, anche se le pareti di pietra contribuivano alla freschezza dell'aria. Una porta spiccava, e dopo un'attenta analisi scoprii che era un bagno personale, pieno di asciugamani e di prodotti per il corpo.

«Madame», disse una voce spaventandomi. Mi voltai di scatto, e mi trovai di fronte un ragazzo vestito con un'uniforme piuttosto antica, che gli conferiva un fascino al di fuori del tempo. I tratti erano comuni, avrei potuto non riconoscerlo in una folla di persone. Fece un inchino piuttosto sostenuto, e disse: «Sua Altezza l'Imperatore mi ha chiesto di prepararvi e condurvi nel salone comune». Poi si avvicinò e mi sfilò il cappotto con grazia. Quando le sue mani arrivarono al bottone del colletto della camicia, feci un passo indietro. Lui ripeté l'inchino: «Non temete, non potrei sfiorarvi con un dito neanche se volessi», spiegò con voce atona, fredda. Poi, più lentamente, tornò ad afferrare i bottoni e a districarli dalle asole. I suoi occhi non indugiavano neanche per un secondo sulle mie forme, con distaccata professionalità. Dopo avermi liberato dalla camicia – mentre io ero imbarazzatissima – si piegò e cominciò a calare la zip dei jeans.

«No», dissi io allontanandomi, e sottraendomi dalle sue mani.

«E' il mio compito, madame», spiegò lui chinando la testa.

«Sono capace di cambiarmi da sola», rimbeccai io. Non ero una barbie, né tantomeno una viziata bambina.

Il ragazzo annuì e aprì l'armadio, prendendo un vestito nero e porgendomelo, mentre io cercavo di sfilarmi i jeans osservandolo per capire se sbirciava. I suoi occhi continuavano a restare bassi, stava molto attento a non incrociare i miei occhi, più che il mio corpo. Fece un passo avanti e mi porse l'indumento, che afferrai per esaminare. La gonna arrivava a metà coscia, ed una spaccatura piuttosto profonda sul davanti lasciava scoperto il mio seno più del consono.

«Non c'è altro?», chiesi.

Sempre ad occhi bassi, il ragazzo rispose: «Sua Altezza ha espressamente chiesto questo abito».

«Beh», dissi io avviandomi verso l'armadio, «è fuori discussione». Rovistai fra le stampelle, fino a trovare un vestito bianco panna, che arrivava fino alle ginocchia ed aveva le maniche a tre quarti. Perfetto. Lo indossai senza tante cerimonie, e poi il ragazzo mi scortò fuori dalla stanza, fino a quella che aveva definito sala comune.

Questa era enorme, il tipico luogo dove indire una festa ed invitare mezzo Regno. Il soffitto era alto, e file di enormi finestre correvano per il suo perimetro. In fondo, sopraelevati al piano mediante una scalinata, si trovavano tre troni: il più grande ed imponente stava al centro, mentre alla sua sinistra ve ne era uno più piccolo ma aggraziato, mentre alla destra si trovava un seggio simile a quello centrale, ma più piccolo.

Il ragazzo, dopo aver fatto un inchino, si dileguò. Mentre mi guardavo intorno, osservando meravigliata l'ambiente, Wladimir entrò, fissandomi  con i suoi occhi criptici.

«Victoria», scandì come se fosse una preghiera. «Benvenuta nel mio Regno», disse allargando le braccia. Le spalle erano possenti, come quelle del figlio. Si avvicinò a me e mi osservò dalla testa ai piedi. «Questo non è il vestito che avevo detto al servo di farti indossare».

Alzai la testa, mostrando il mento in modo orgoglioso. «Non mi sembrava appropriato, signore», spiegai.

«Questo lo decido io», disse in tono freddo. Si avvicinò ancora di più e posò una mano sulla mia schiena, spingendomi a sé. Mi divincolai, cercando di rispettare il mio spazio personale, ma lui non sembrava intenzionato a lasciarmi andare.

«Che caratterino», rise lui, stringendomi ancora. Mi afferrò il mento con una mano, mentre l'altra era ancorata saldamente alla mia schiena. «Mi incuriosisci, Victoria».

«Ma cosa vuoi?!», ringhiai divincolandomi senza successo. Il tono formale era sparito, come ogni accenno di rispetto.

«Vedi?», continuò lui ridendo. «Nessun altro avrebbe il fegato di contrastarmi così. Sei un mistero per me, ed io ho intenzione di capirti fino in fondo».

«Lasciami!», ma non obbedì.

«Ci ho riflettuto, e trovare un marito disposto a sposarti nonostante i tuoi genitori ti abbiano tenuto all'oscuro è praticamente impossibile. Perciò ho trovato un'altra soluzione, molto più comoda a mio dire». Mi afferrò il volto con entrambe le mani, ed i suoi occhi mi catturarono. Non avevano nulla in comune con quelli di Alexander, anche se il colore era simile.

«Victoria, non immagini neanche i privilegi che potresti acquistare se decidessi di diventare la mia amante», sussurrò mentre il cuore mi batteva all'impazzata.

«Non se ne parla», dissi io cercando di scrollarmelo di dosso.

«Torna pure nella tua stanza e riflettici», riprese scostandosi finalmente da me, mentre il servo di prima si avvicinava, faceva un inchino e mi invitava a seguirlo.

«Ho detto di no!», ripetei.

Lui rise, a quanto pare trovava davvero inusuale che qualcuno negasse una simile opportunità all'Imperatore. «Ci vedremo stasera a cena, intanto pensaci». Sentii i suoi occhi puntati sulla schiena, mentre mi allontanavo velocemente, sulle orme del servo. Quando mi voltai lo trovai a fissarmi, ed i suoi occhi pieni di misteri mi trasmisero un messaggio semplice, ma di gran effetto. Il suo sguardo intendeva che non accettava un 'no' come risposta.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora