16 - Festa in maschera - 1a parte

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Come alcuni mi hanno fatto notare, il capitolo precedente era piuttosto corto. In via del tutto eccezionale (non abituatevici) ho deciso di pubblicare anche un altro capitolo oggi.

Continuo a dire che scrivermi chiedendomi (e questo termine è lusinghiero, eh) di aggiornare prima, senza neanche un per favore, mi indispone tantissimo, visto che ho già specificato in quali giorni pubblico. Starei qui a stilare una lista dei motivi per cui non è per niente carino, ma non mi pare giusto annoiare i lettori.

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[Nota: Nō è una forma di teatro giapponese, la più elevata e meno conosciuta. Per comprenderla, è necessario un livello culturale preciso, e non è accessibile a tutti. Gli attori indossano vesti tradizionali, ed al volto portano una maschera].

Con Andrew avevamo deciso il mio vestito per la festa: un'attrice Nō. In poche ore, il ragazzo era riuscito a commissionare al sarto un kimono pazzesco: dal colore bianco, principalmente, aveva gli orli in oro e verde, mentre sul corpetto erano disegnate delle ninfee che galleggiavano su uno stagno. La maschera era chiara, con qualche linea mossa, come a ricordare il bambù. Sembravo uno spirito giapponese della natura. Venne addirittura una ragazza ad acconciarmi i capelli, cercando di imitare lo stile orientale. Infine, mi venne consegnato un ventaglio, che richiamava i colori del vestito.

«Siete stupenda, madamoiselle!», batté le mani il sarto facendomi fare una giravolta.

«E riuscite anche a camminare sui geta [nda: gli zoccoli giapponesi] in modo aggraziato!», fece eco Andrew.

Tirai indietro la testa e risi, facendo andare nel panico la serva – Adrienne – che mi aveva sistemato i capelli.

Prima che i nuovi arrivati entrassero, avevo messo in chiaro che non dovevano tenere gli occhi bassi e che dovessero comportarsi nella normalità, senza considerarmi una loro superiore. Erano stati ben felici di assecondarmi, e pian piano si erano sciolti spontaneamente, vedendo in me tutt'altro che una minaccia.

«Oh, lo dite solo perché altrimenti dovreste ricominciare daccapo!», li apostrofai, ed anche loro scoppiarono a ridere. Che differenza sostanziale, rispetto a come si rapportavano prima di conoscermi.

«È ora!», esclamò il sarto battendo le mani. Era un francese piuttosto basso e scheletrico, e non riuscivo a capire dove tenesse in corpo tutta quella vitalità.

Ad essere attenti, tutti e tre parevano piuttosto sottopeso, anche se le divise calzavano loro a pennello. Gli indumenti sembravano fatti su misura, proprio per non dare l'impressione che i corpi fossero troppo magri. Quello che però risaltava molto erano le gambe di Adrienne, che parevano due stecchini a confronto con la grande e pomposa gonna.

Mi infilai la maschera, con l'aiuto della serva affinché non si rovinassero i capelli. Feci qualche passo in giro per la stanza, come a testare la sicurezza dei geta, ed uscii. I tre mi salutarono prima di incamminarsi verso la parte opposta al corridoio.

«E voi dove andate?», chiesi ad alta voce, per sovrastare l'intoppo della maschera di legno.

«A lavoro, chérie», rispose il sarto.

Ero scioccata. Avevamo passato ore a prepararmi, e loro avevano ancora le energie per fare altro? Beh, non era una scelta loro, a pensarci bene.

«Tornate in stanza!». Certo che era proprio fastidioso parlare così. Ma non potevano fare un buco per la bocca?

«Ma...», cominciò Adrienne mangiandosi le unghie.

«Vi meritate un po' di riposo. Tutti nella mia stanza! Se vi dicono qualcosa, ve l'ho ordinato io».

Mi sorrisero riconoscenti, ma dovevano essere svelti. Bacchettai Andrew sulla spalla con il ventaglio chiuso, e lui si mise a ridere.

«Sciò!», ordinò il sarto, facendo ridere gli altri due. Mi scappò un sorriso, che non videro.

Chiusi la porta e controllai che nessuno avesse assistito, poi attraversai il corridoio. C'era una cosa a cui non avevamo pensato: con gli zoccoli e la gonna stretta, come avrei fatto a scendere le scale? Non ci riuscii né piegandomi né scendendo a piedi pari. Ed ora?

«Eccoti!», esclamò una voce familiare.

Feci per voltarmi, ma due braccia si infilarono dietro la schiena e nella piega delle ginocchia, tirandomi su e facendomi sbattere contro un petto.

«Serve una mano?», ghignò Alexander mentre scendeva le scale, per nulla scalfito dal mio peso.

Rimasi scioccata. Era pure dotato di galanteria?

«Oh, ti sei proprio calata nella parte», rise, sottolineando il mio silenzio. In realtà ero rimasta a bocca aperta, letteralmente, e grazie alla maschera non se ne era reso conto.

Arrivò al piano inferiore e mi depositò, offrendomi poi il braccio. Osservai il suo vestito attraverso i buchi della maschera: aveva dei pantaloni pastello aderenti ai quadricipiti scolpiti ed una casacca bianca ornata d'oro, stretta in vita da una cintura di cuoio.

Ironico. Era il Principe Azzurro.

«Vorrà dire che sarò io a fare conversazione», esordì. «Dovremo girare al largo da mia madre, oggi sarà intrattabile».

Entrammo nel gran salone, che era luminosissimo e coloratissimo. Il trono centrale e quello alla sua destra erano vuoti, mentre il più elegante e ben lavorato era occupato dall'Imperatrice Cordelia.

Fissava tutti come se volesse tagliar loro la testa, e non potei non complimentarmi silenziosamente con lei per la scelta dell'abito: la Regina di Cuori.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora