20 - Nero

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Ero scesa più e più volte in cucina, quei ragazzi erano davvero insuperabili. Erano come una grande famiglia che lavorava insieme. Così conobbi molto più del castello di quanto potessero spiegarmi i nobili: come lavorava la servitù, i pettegolezzi sulle famiglie abbienti, i passaggi segreti all'interno del Palazzo.

Quella notte non riuscivo a dormire, e non trovando nulla da fare decisi di rendermi utile. Tornai al piano sotterraneo, il piano della servitù, e andai a dare una mano alle persone che si occupavano della lavanderia. Queste erano costrette a lavorare di notte, affinché il mattino successivo i panni fossero puliti ed immacolati. Venivano asciugati e stirati con grande cura, e poi appesi a delle grucce nominative, che saranno state tre centinaia senza esagerare. I servi si occupavano di prendere gli abiti sporchi, portarli in lavanderia e rimetterli negli armadi la mattina dopo, silenziosi per non svegliare i padroni nel sonno. Erano veloci ed invisibili, ma purtroppo vittime della fatica.

Quando arrivai, una decina di ragazzi stava già lavorando.

«Miss Victoria!», mi salutarono alcuni, mentre gli altri mi rivolsero un sorriso stanco.

«Buonasera, disturbo?», chiesi, posando i miei vestiti sporchi su un lavandino ed aprendo l'acqua fredda.

«Oh, no, siete sempre la benvenuta!», mi rassicurò uno, mentre cercava di smacchiare del cioccolato da una camicia bianca. La Corte non faceva molto caso a non sporcarsi, se non per una questione di immagine pubblica. Dopotutto smacchiare era compito dei servi.

Lavai i miei panni sporchi, e mentre li stendevo mi occupai di altre grucce. Afferrai un abito da sera e cominciai ad immergerlo nell'acqua calda.

«Quella è seta», spiegò una ragazza – Clementine, mi pare –, appostata al lavandino accanto al mio. «Bisogna stare attenti, si rovina facilmente».

Annuii e la ringraziai, cercando di fare attenzione.

«Le cuciture di questo abito sono molto robuste», disse ancora, indicando il sottile filo che congiungeva corpetto e gonna. «Più il capo è resistente, più dura nel tempo. Visto che le dame raramente utilizzano un vestito in due occasioni, questo permette ai meno abbienti di poter mettere da parte alcuni abiti per poi utilizzarli qualche anno dopo, senza destare troppi sospetti. Anche le nostre divise rispettano questo criterio, altrimenti diventerebbero usa e getta».

Con voce esperta mi insegnò come lavarlo al meglio nel minor tempo possibile. «Non possiamo dedicarci troppo ad una sola persona, ma allo stesso tempo se roviniamo il vestito ce la fanno pagare cara». Cercai di seguire le sue istruzioni, ma alla fine mi ritrovai zuppa.

Lo asciugai con cura e lo rimisi nella gruccia con il nome di Ferdinanda Silentowl.

Alle cinque del mattino, il lavoro finì. Salutai tutti con un sorriso stanco e mi diressi in camera mia, per poi piombare a peso morto sul letto. Non mi ricordavo fosse così morbido e caldo. Mi sarei dovuta alzare per cambiarmi, visto che avevo ancora i vestiti bagnati per la lavanderia, ma le braccia facevano davvero male, e le dita erano intorpidite dal freddo.

Passò decisamente troppo poco per i miei gusti, quando qualcuno bussò alla porta. Le nocche battevano insistenti, ed ero poco paziente già di natura. Mi alzai controvoglia ed aprii, per trovarmi un Alexander vestito in maniera impeccabile.

«Victoria...».

Gli chiusi la porta in faccia, tornandomene tra le coperte. Ero troppo stanca anche solo per provare risentimento verso di lui. Il mio cervello mandava messaggi di odio, i miei ormoni invece erano lieti di rivederlo.

«Dovrai uscire prima o poi da qui», disse lui. Sciocco, pensava davvero che mi ero rinchiusa per due settimane? Avevo coltivato amicizie con persone degne, poveri ragazzi che erano costretti a spaccarsi la schiena pur di vivere, mentre lui e quelli come lui se ne stavano comodi a sfruttare il lavoro altrui. Altro che servi, questa era schiavitù!

«Augustus ha chiesto a mio padre l'annullamento del fidanzamento», disse, forse cercando di attirare la mia attenzione. Meglio così, sarei stata libera finalmente. Non volevo dipendere da un uomo, e se non avesse fatto il primo passo lui, ci sarei andata io stessa da Wladimir – beh, magari dopo aver risolto la questione "sii la mia amante". Non risposi, e lui continuò a bussare insistentemente.

Sbuffai, di questo passo non sarei riuscita a dormire. Avevo passato la notte a lavorare, io. Aprii la porta contrariata, cercando di non guardarlo in faccia, anche se la tentazione era enorme. «Insomma, Alexander, che vuoi?». Pronunciare il suo nome? Pessima mossa. Il mio sguardo fu calamitato sul suo volto. Maledizione.

«Possiamo parlare?», i suoi occhi mi fissavano mesti. Mi imposi di non fissarlo troppo, e notai come fosse vestito elegante. Giacca nera, abbinata a dei pantaloni che gli stavano a pennello. Anche la camicia sotto era nera. Era stupendo, una lenta e dolce tortura di fronte a me.

«Senti, sono stanca, ho passato tutta la notte in piedi ed ora...», stavo per chiudere la porta, quando le sue parole mi raggelarono.

«Gwendolin è morta», mi anticipò.

«Che?!», sbottai, guardandolo allibita. Certo, gliene avevo dette di tutti i colori, ma dall'insultarla al saperla morta la distanza era lunga. Mi misi una mano sul petto. Perché ci stavo male? Dopotutto era lei che si era messa in mezzo fra me ed Alexander, eppure sapevo che non lo meritava. Le ragazze qui erano abituate alla scalata sociale, lei stava solo facendo il suo compito. Un attimo prima era lì, a rubarmi il ragazzo dopo un mezzo bacio, e l'attimo dopo non c'era più.

Lo guardai stralunata. «Se questo è uno scherzo...».

Scosse la testa, guardandomi negli occhi. Non c'era poi tanto dolore, solo... rammarico? «Tra un'ora ci saranno i funerali... hai un vestito nero da mettere?».

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora