14 - Gelosia

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Aprii gli occhi, spaventata da quell'incubo. Durante la notte avevo rivissuto quello che era accaduto nella mia stanza, solo che nessuno aveva sfondato la porta.

Alexander mi accarezzò la guancia. «Ti senti meglio? Non hai fatto che piangere per tutta la notte», sussurrò.

Annuii, e poi distolsi lo sguardo da lui. Non capivo perché fosse così premuroso. Sì, okay, mi aveva salvata, ma sarebbe bastato chiudere a chiave la mia porta, non portarmi nella sua camera e farmi dormire nel suo letto. Non dopo che mi aveva piantata in asso dopo il quasi bacio.

«Vuoi il mio sangue?», chiese, prendendomi in contropiede. Lo fissai con la bocca aperta, credendo di aver sentito male. «Non guardarmi così, femmina».

No, decisamente mi stava coccolando perché gli facevo pena, ed io di certo non mi volevo trovare in quella situazione. Afferrai la coperta che mi avvolgeva come un bozzolo e mi alzai, stando bene attenta a non scoprirmi. Avevo il reggiseno color carne macchiato del sangue di Augustus, che era colato quando lo avevo morso violentemente.

«Che fai?», chiese Alexander, dubbioso.

«Me ne vado, se non fosse evidente», ribattei. Dove voleva arrivare con quella carezza? All'inferno, ecco dove. E se il ragazzo voleva osare toccando il fuoco, io l'avrei fatto bruciare.

Mi si parò davanti, frapponendosi fra me e la porta. «E' questo il modo di ringraziarmi?», sbraitò.

«Che diavolo volevi nella mia stanza dopo che mi hai mollato per spassartela con Gwendolin?!».

«E' questo il problema? Sei gelosa?», rise di gusto. Rideva di me. Strinsi i denti e cercai si sorpassarlo, ma lui mi afferrò, e ci pensò su un attimo. «Senti, non mi pare il caso di litigare, dopo quello che è successo ieri sera». Bene, gli facevo così tanta pena che stava rinunciando anche a fare il maschio alpha! Ridicolo.

«Appunto», rimbeccai. «Mollami».

Scosse la testa. «Almeno lascia che ti presti dei vestiti. Se uscirai da qui così, penseranno il peggio».

«E che lo pensino pure», ringhiai, dandogli una spinta e liberando la via per la porta.

Alexander cercò di afferrarmi, ma si ritrovò in mano la mia coperta. Poi i suoi occhi vennero attratti dal mio corpo, e lui cominciò a fissarmi ogni singolo centimetro di pelle scoperta – ed era davvero tanta.

Arrossii violentemente, ma lui non voltò la testa dall'altra parte, continuando a mangiarmi con gli occhi. «Prendi qualcosa da metterti addosso, sei una dannatissima distrazione».

«Per te o per quelli là fuori?», chiesi. Ma che domande mi mettevo a fare?

«Chi se ne frega di loro», borbottò.

Se prima ero rossa, adesso ero viola. Sfrecciai davanti alla cassettiera ed aprii il primo cassetto, trovando solo boxer. Oh, Dio, si può morire d'imbarazzo? Mentre stavo cercando dei vestiti nei ripiani più bassi, due mani mi afferrarono con leggerezza e si depositarono sul mio ventre.

«Sul fatto dei vestiti... ci ho ripensato...», sussurrò contro il mio orecchio. Mi irrigidii. Non solo gli facevo pena, ma mi voleva pure usare come giocattolino?

Afferrai una t-shirt e dei pantaloncini con una mano, mentre il braccio opposto era impegnato ad assestare una gomitata all'indietro, all'altezza della pancia. Lo sentii piegarsi, con un lamento.

Mi girai per avere più spazio per vestirmi, ma lui mi afferrò e mi buttò sul letto, sovrastandomi con il suo corpo. «Come hai osato, femmina», ringhiò. Due assalti in meno di ventiquattr'ore. Fantastico, no?

Il suo sguardo cadde sul mio collo teso, dove sicuramente era visibile qualche vena. Si avvicinò lentamente, ed io chiusi gli occhi aspettando di sentire i suoi denti. Sussultai quando, inaspettatamente, furono le sue labbra ad incontrare la mia pelle. Stava facendo su è giù tra clavicola ed orecchio, mentre il mio cuore batteva a mille.

Fermati, Alexander.

Non osare fermati.

Molto lentamente mi avvicinai io al suo collo, ipnotizzata dal suo profumo. Sicuramente intuì le mie intenzioni, ma mi lasciò fare. Nel modo meno doloroso possibile, affondai i denti nella sua carne e cominciai a bere, gustandomi ogni singolo sorso. Poco dopo mi staccai, più per cortesia che per volontà.

Il suo volto aveva trovato il suo spazio nell'incavo del collo, e le labbra premevano contro la mia pelle, scatenandomi una tempesta dentro.

«Non osare farlo mai più», sussurrò. In un primo momento attribuii quell'ordine al morso che gli avevo dato, ma poi aggiunse: «Non ti permetto di farmi ingelosire come ieri notte».

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora