18 - Amanti e consorti

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Quando i due se ne andarono, feci per allontanarmi ma Alexander mi tirò verso di sé.

«Devi andare ad incipriarti il naso?», disse ironico. Annuii con fervore, per poi lasciarmelo alle spalle ed allontanandomi.

Arrivata di fronte alle scale, stavo seriamente pensando di strapparmi il vestito e correre via. Quel travestimento era stato un enorme sbaglio, nonostante i continui complimenti che avevo ricevuto. No, mi corressi, che Gwendolin aveva ricevuto. A proposito, lei dove diavolo era? Se tutti mi avevano scambiato per lei, non doveva essersi proprio presentata.

Alla faccia della futura Imperatrice.

«Aspetta, ti aiuto», sussurrò Alexander comparendo dal nulla. Mi afferrò e mi portò su con delicatezza, ed in un altro momento lo avrei considerato un gesto dolce. In un altro momento ed in un'altra galassia.

Quando mi depositò, mi voltai e cominciai a correre, zoccoli permettendo. Volevo allontanarmi da lui, da quella dannata festa, da quella vita che continuava ad assillarmi ma che non mi stava.

«Ma che hai?», chiese, aggrottando le sopracciglia.

Mi voltai e gli lanciai il ventaglio, che gli colpì la spalla in modo debole. Stronzo traditore.

Lui si avvicinò, per quando io cercassi di mantenere le distanze, e mi afferrò per le spalle. «Gwenny, ma che ti prende?». Ah, con lei non faceva il maschio alpha?!

Questa fu la goccia. Strappai la maschera, incurante dell'acconciatura. Gliela lanciai con odio, sfilandomi gli zoccoli ed camminando più velocemente verso la mia stanza. Non quella nell'ala Bloodwood.

Alexander mi afferrò da dietro e mi costrinse a girarmi. Se era scosso, non lo dava a vedere. «Che cazzo fai?!».

«Io, eh!», gli urlai in faccia. «Abbiamo passato la notte insieme, e tu eri così carino... e poi, questo!». Maledette lacrime, tornate subito indietro, avrete tutta la notte per uscire. «Dopo quello che mi hai detto ieri, non mi aspettavo che...».

«Che non ti avrei offerto una relazione seria?», mi anticipò. Aveva alzato un sopracciglio, e mi guardava tra lo scettico ed il divertito.

Mi scrollai di dosso le sue mani e mi incamminai verso l'ala dei Silentowl. Si parò davanti a me, impedendomi di continuare. «Possibile che siate sempre così sentimentali, voi donne?».

«Tu mi hai illusa», sussurrai. Doveva essere un grido, ma fu solo una flebile osservazione che si perse quando cominciai a piangere.

Lui rise amaro. «Davvero pensavi che l'erede al trono ti avrebbe considerata più di un'avventura? Sei cresciuta fuori dal Regno, non sai nulla di noi, e credi di potermi tenere testa in una relazione?». Posso tenere la tua testa. Staccata dal corpo. Infilzata su un palo.

«E quello che mi hai detto? Sulla gelosia?». Dio, quanto ero masochista. Ma se c'era anche solo la possibilità che fosse interessato a me...

«Non posso offrirti altro se non la posizione di Lady Mildred, quando sarò Imperatore», sviò il discorso, senza rispondermi.

Feci una smorfia di disgusto. Per quanto disprezzassi Gwendolin, avevo visto cosa comportava essere un'Imperatrice solo all'apparenza: non governava, stava semplicemente lì ad intrattenere gli ospiti di una festa organizzata per la rivale in amore. No, non potevo farlo.

Lo guardai negli occhi, per cercare di trasmettergli tutto il rancore che serbavo. «Se avessi voluto essere l'amante dell'Imperatore, avrei accettato l'offerta di tuo padre». Girai i tacchi e cominciai ad incamminarmi.

Qualche secondo di silenzio. Forse era stupito, ma poco me ne importava. «Non dico che ti... Mi sono intestardito con te, ecco», sussurrò, non mi voltai, però mi bloccai a metà corridoio. Avevo aspettato di sentire quelle parole da un bel po', ma in quella situazione avevano un sapore amaro. "Mi piaci, ma non possiamo stare insieme. Ti va una tresca ogni tanto?".

Scossi la testa. «Ma questo non è abbastanza, vero? Non mi rende abbastanza, per te», risposi oltre la spalla. Non avrei mai potuto cambiare quella condizione, saremmo rimasti in stallo per l'eternità, probabilmente. «Sai che ti dico? Va bene così», ora era il mio orgoglio a parlare, mentre il cuore si stava strappando i capelli dalla disperazione. E per capelli intendo arterie e vene, che a quell'altezza dolevano come una stilettata al cuore. «Torna pure dalla tua Gwendolin, la tua cara Imperatrice. Vi scambierete il sangue, e questa conversazione sarà solo uno dei tanti ricordi amari di un'adolescenza ribelle». Sospirai. Non piangere, Victoria, stai andando benissimo. «Beh, auguri per la vostra unione», esordii, dopo che lui non accennava a parlare. La conversazione si era svolta oltre la mia spalla, e non avevo modo di vederlo in faccia, anche se avrei tanto voluto. C'erano cose che i suoi occhi mi comunicavano in modo sincero, mentre la bocca ometteva o distorceva. Ma non era un lusso che potevo permettermi, in quel momento.

Continuai a camminare, senza aspettare una risposta. Testa alta, brava, così.

«In quanto Principe, ti proibisco di fare un altro passo!», dichiarò alle mie spalle in tono duro. Non lo avevo mai visto dare ordini. E la sapeva una cosa? Nessuno mi aveva mai visto rispettarli.

Non mi fermai, oltrepassando il confine immaginario tra le due ale. Girai l'angolo, mi strappai la gonna e cominciai a correre a perdifiato verso la mia stanza. Avrei avuto la solitudine, comprensiva amica da ormai sedici anni, e tanto bastava.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora