19 - Orologio

14.5K 1.6K 63
                                    

Andrew, il sarto ed Adrienne entrarono senza bussare. La ragazza mi abbracciò, ma non riuscì a sciogliere la mia posa rannicchiata. Avevo la faccia appoggiata alle ginocchia, circondate dalle braccia. «Ehi», provò a sussurrare, cercando di essere di conforto.

«Abbiamo sentito tutto dalla vostra stanza... volete che ce ne andiamo?», chiese Andrew, incerto.

Alzai lo sguardo su di lui e mi asciugai le lacrime. «No, non ho intenzione di piangere più per quello stronzo».

«Madamoiselle, state parlando del Principe!», disse il sarto coprendosi la bocca.

«E la sua carica lo esenta da essere un gran bastardo? Non mi pare». Scesi dal letto, rivolgendo un mezzo sorriso mesto ad Adrienne, e mi scusai con il francese per come avevo ridotto il suo abito.

«De rien, bocciolo», rispose agitando la mano, come se volesse scacciare una mosca. Sapevo che ci aveva messo molte energie nel farlo, e adesso era solo uno straccetto colorato.

«Non voglio che mi facciate da balie, tornate pure nelle vostre stanze», sussurrai mentre mi toglievo le forcine dai boccoli.

«Fino a quando la festa non sarà conclusa, siamo in servizio», spiegò Andrew, con tono stanco.

«Allora aspett...».

«Vi ringraziamo, mia signora. Ci avete regalato ore di riposo, e non sapete quanto sono preziose. Ma non vogliamo che finiate nei guai per noi, perciò ora ci ritiriamo», mi interruppe Adrienne. Mi sorrisero ed uscirono, lasciandomi sola e senza una distrazione.

Ero affamata, visto che non avevo mangiato nulla alla festa. Tornare alla festa era fuori discussione, assolutamente, ma i crampi erano troppo fastidiosi per aspettare la colazione. Mi cambiai velocemente e decisi di scendere nelle cucine, anche se non sapevo bene dove fossero. Le trovai, mentre giravo, al piano sotterraneo. Si moriva di caldo, a causa dei fornelli accesi e delle piccole finestre.

«E' finita la quiche!», avvertì un maggiordomo, creando inconsapevolmente il panico tra i cuochi. Cominciarono a correre a destra e a manca, senza mai spintonarsi. Chi faceva l'impasto, chi cucinava, chi si occupava di prendere le stoviglie sporche e lavarle, per poi rimetterle al loro posto. Era come un grande orologio, inarrestabile.

Che però si bloccò quando mi vide. «Si è persa, signora?», chiese un uomo con una guancia infarinata.

«Ehm... no, in realtà avrei fame... ma se avete da fare non fa nulla».

«Perché non chiamate un servo? Vi faremo avere qualche prelibatezza».

Scossi la testa, osservando tutte quelle teste che si erano voltate verso di me. «Sono capace di prendermi da sola un po' da mangiare. Anzi, siete tutti così indaffarati, non vorrei...».

Una ragazza con il grembiule sporco di polvere di cioccolato si avvicinò e mi offrì un muffin. La ringraziai – facendola stupire – e cominciai a sgranocchiarlo, mentre gli altri si rimettevano al lavoro.

Erano davvero tanti, due dozzine, ma non riuscivano a seguire le continue ordinazioni. Questa festa non aveva distrutto solo me. Una donna aveva bisogno di uova, ma aveva le mani sporche e non riusciva ad aprire il frigo; mi allungai ad afferrarle e gliele porsi. Lei mi guardò interdetta, poi sorrise. Ben presto cominciai ad aiutare diverse persone, ed i cuochi si abituarono presto alla mia esuberanza, nonostante fosse decisamente fuori dagli schemi. Tagliai ortaggi e infornai dolci, ed alla fine della serata mi ritrovai completamente sporca di farina e zucchero.

Ma invece di esserne schifata, mi osservai e dissi: «Però, potevo vestirmi da pupazzo di neve stasera». Non era intesa come battuta, ma tutta la cucina scoppiò a ridere.

«Miss Victoria, siete il massimo!», snocciolò quello che pareva il capo cuoco.

Feci un inchino teatrale, ma scivolai e sbattei malamente il fondoschiena. Le risate continuarono sguaiate, inclusa la mia. Se la serata era iniziata male, era finita egregiamente.

Continuammo a cucinare per un bel po', e mi sembrò quasi di far parte dell'orologio, come un piccolo ingranaggio che velocizza tutto. La prima avversione nei miei confronti venne dimenticata, e se non fosse stato per il "voi" che mi veniva rivolto, parevo esattamente come loro. Nella cucina si moriva di caldo, e le piccole finestre non erano abbastanza per sconfiggere l'alta temperatura creata dai dieci forni addossati ad una parete.

Servi vestiti da maggiordomi entravano ed uscivano freneticamente, afferrando i vassoi e portandoli alla festa o entrando e dicendo quali pietanze stavano finendo.

I piatti da lavare continuavano ad essere sempre di più, ed alla fine mi arresi ad aiutare i ragazzi che cercavano di sgrassarli affinché venissero riutilizzati. Sapevo che la Corte era molto grande, ma mi stupii di vedere tantissime stoviglie sporche. Sembrava che per ogni boccone cambiassero piatto, a dispetto dei pochi servi che cercavano di mantenere il ritmo.

Alla fine della serata ero stanchissima e con il fiatone.

«La prossima volta voglio un grembiule», dissi, mentre mi tenevo la pancia fra le mani.

«Sarebbe un onore», rispose una ragazza, togliendosi la divisa bianca sporca e mettendola in una cesta. «Buonanotte, Victoria».

«Buonanotte, Samantha», ricambiai con un sorriso. In tre ore ero riuscita ad imparare tutti i loro nomi, e la consideravo una conquista.

Deimon - La corte del DemonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora