L'archetto strofinò per l'ultima volta lungo le quattro corde del violino.
La musica si arrestò con una nota decisa e forte.
Silenzio risuonò in quel teatro: un istante di pura calma e pace, dopo che in quella serata estiva, le quattro stagioni erano trascorse senza che il pubblico se ne rendesse conto.
Le luci erano ancora spente. L'unico faro era puntato sul palco, in direzione di una sola persona, la quale aveva smesso di muoversi per tutto l'ambiente, usufruendo dello spazio per lasciarsi trasportare dalla melodia che ella stessa produsse, creando un accostamento perfetto tra seguire ed essere seguiti dalla musica. Le scarpe nere con un leggero tacco, di circa sei centimetri, avevano smesso di echeggiare sul legno pregiato del Teatro della Pergola. La gonna nera, lunga sino alle ginocchia, cessò il suo ondeggiare, come se travolta dal vento. Sebbene non si trovasse all'esterno, ogni corrente stagionale era stata solcata per quei venti minuti di esibizione; il velo munito di strascico si arrestò su di essa. Il violino abbandonò la spalla e si abbassò sul fianco sinistro; lo stesso fece l'archetto su quello destro.
Era un mondo colorato, quello in cui volteggiò per l'intera esibizione. Rosa, azzurro, verde, giallo, lilla. Colori pastello, chiari e luminosi, dove ancora una volta trascorse il suo tempo, venendo avvolta dalla quiete e dalla calma della sua vita. Un treno di passione che cavalcò delicatamente le nuvole dei suoi pensieri, morbidi e soffici come un cuscino. Una volta finito, fluttuò verso il prato e percepì a piedi nudi i fili d'erba solleticarle le caviglie, provocandole una risata contenuta. Si distese a pancia in giù e usò le braccia per appoggiare la testa. Rilassò il viso e ritornò alla realtà.
Un paio di occhi verdi si aprì, fronteggiando l'enorme applauso scaturitosi nel momento stesso in cui tutto ciò avvenne. Le luci delle tribune e degli spalti privati si erano accese. Quello era il teatro più famoso di tutta Firenze; le mura erano dipinte in bianco e decorate da altorilievi dorati, sinuosi e serpeggianti. Le sedie erano rosse carminio, così come lo erano le tende, tranne per i bordi ricamati in oro. Ogni spalto aveva una luce molto più soffusa rispetto a quella all'esterno. Il lampadario al centro del tetto, enorme e rotondeggiante illuminò tutti i presenti e l'affresco sul soffitto. Un pubblico altolocato, vestito da abiti di marca e costosi, batteva le mani con classe, sorridendo e asciugando le lacrime; le donne indossavano gioielli in oro, collane vistose e orecchini dalle pietre preziose; gli uomini erano decorati da orologi classici e in vera pelle al polso, seguiti dai gemelli sulle estremità delle maniche delle giacche: sicuramente anch'essi in oro.
Una standing ovation inondò l'intero teatro, seguito da complimenti e sorrisi appagati per l'accuratezza della melodia che aveva appena prodotto lo strumento pregiato nelle mani di quella ragazza al centro della scena.
Quest'ultima, dai capelli castani, raccolti in uno chignon, tranne per alcuni ciuffi arricciati dalla piega di una delle più prestigiose parrucchiere della città, sorrise e fece un inchino verso tutti i presenti, giungendo le mani – per quel che poteva – e unendo i piedi per rispetto.
Rose vennero buttate sul palcoscenico. Con gentilezza si piegò per prenderne alcune, ma il direttore della serata la anticipò, presentandosi con un mazzo di rose rosse per ringraziarla di aver partecipato insieme all'orchestra quel giorno, concludendo l'opera con un'esibizione da solista. La ragazza rise con affetto e sincerità, tentando di prendere il mazzo con una sola mano, dopo aver passato l'archetto in quella in cui teneva il suo strumento. S'inchinò nuovamente, salutando il pubblico e camminò dietro le quinte, mentre il presentatore pronunciava le ultime parole per concludere definitivamente l'opera di quella sera.
Un uomo sulla quarantina, dai capelli rossicci, con alcune ciocche bianche per l'età avanzata, e vestito con uno smoking grigio dalla cravatta bordeaux, la stava aspettando a braccia aperte. Lei si avviò verso di lui con un sorriso largo. La strinse forte a sé con orgoglio e soddisfazione.«Sei stata eccellente, Alexandra. Impeccabile come sempre.» si congratulò, afferrandola per le spalle scoperte dall'abito nero.
«Un grazie va a lei, Professor Marchetti. – ribatté la ragazza, Alexandra, dando il mazzo di fiori al suo assistente, affinché le desse in cambio la custodia del violino. – Senza di lei non avrei mai avuto l'onore di suonare con l'orchestra, oggi.»
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La Colomba che si perse nel vuoto
KurzgeschichtenAlexandra Davì è una nota violinista di Firenze. Figlia degli imprenditori Caterina e Andrea Davì, orefici della Angelic's Jewelry, il suo sogno è quello di spiccare il volo come una colomba e poter intraprendere una carriera da solista. Uno spira...