13.

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Rylie.

Richard si sedette sul bordo del letto, si schiarì la voce e calò lo sguardo sul pavimento. Si passò le mani sul volto, e sospirò. Aveva l'aria stanca, e sembrava nervoso e triste. Era come se fosse un accumulo di emozioni pronti ad esplodere da un momento all'altro, da quando lo conoscevo non l'avevo mai visto in quelle condizioni.

«Mi dispiace, bambina.» Alzò finalmente gli occhi su di me, dopo essersi passato una mano sulla nuca. «Katrin non voleva, lei non-.»

«No.» Lo fermai. «Era proprio quello che voleva dire.»

Non sapevo come mi sentissi, non riuscivo a capire quello che avevo dentro. Forse delusa, forse triste o forse solo tremendamente arrabbiata.

«Stava parlando di lei, vero?» Incalzai, tremante. «Stava parlando di mia madre.»

Lui mi guardò, i suoi occhi si velarono di lacrime. Nel suo sguardo visti qualcosa di rotto, ormai irreparabile, qualcosa che qualcuno gli aveva strappato lasciandogli un vuoto dentro.

«Amavo tua madre, l'amavo come non potrò mai più fare in vita mia.» Soffiò, stanco. «E vivo ogni giorno con il rimorso di non aver fatto abbastanza per portarvi via, per essere stato troppo codardo, per non averla strappata da quella casa.»

«Lei non ha voluto essere salvata.» Mi arresi alla realtà.

Se avevo capito una cosa in tutta quella storia, era che mia madre aveva deciso di restare. Lei si era condannata con le sue stesse mani, arrendendosi alla volontà di Phil e ad un destino già segnato.

«Ha fatto quella scelta per amore di suo figlio, e posso capirla. Era compito mio proteggerla e farle capire che non doveva avere paura.»

«Nessuno avrebbe potuto strapparle Ash, nessun assistente sociale sano di mente avrebbe affidato un bambino a Phil.» Costatai, spazientita. Finalmente stavamo parlando di lei, aspettavo quel momento dal primo giorno.

Lui sospirò. «Può sembrare facile così, ma non lo é. Tua madre aveva vissuto un periodo della sua vita da tossico dipendente, e quello avrebbe influito molto se ci sarebbe stata una causa.»

«Non riesco a giustificarla, mi dispiace.» Serrai le labbra abbassando gli occhi nel vuoto, non riuscivo a dare nessun senso a quello che aveva fatto.

Probabilmente Phil non avrebbe nemmeno mai provato a prendersi Ash, non aveva mai badato ai suoi figli. Ma si sa, gli uomini sono crudeli, e magari l'avrebbe fatto davvero pur di far del male a lei. Era così difficile immedesimarsi.

«Katrin vuole che io me ne vada? Perché? É sempre stata gentile con me.»

Ricordai le parole che mi aveva detto quel giorno, in giardino. Sei stata una boccata d'aria fresca per questa famiglia. Evidentemente, aveva mentito.

«No!» Alzò la voce. «Era solo arrabbiata, non diceva sul serio e non permetterei mai che tu te ne vada, bambina. Sei mia figlia, e ho desiderato averti da quando sei nata.» Sembrava sull'orlo di piangere.

Non sapevo se Katrin diceva sul serio oppure no, ma mi aveva ferita e pure tanto. Non sapevo nemmeno se sarei riuscita a guardarla con gli stessi occhi da quel momento in poi.

Ingoiai il groppo in gola e mi portai una mano al petto, forse era il momento giusto per dirgli che anche io ero malata? Forse, decisamente no. Mi sarei sentita sopraffatta all'improvviso da troppe cose.

Restammo in silenzio. Un silenzio lungo e fatto solo di tensione, in cui voleva palesemente dirmi qualcosa, ma non ci riusciva.

«Voglio che tu prenda il mio cognome, Rylie.» Sputò finalmente.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora