14.

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Devon.
Tre settimane prima.

Ero tornato.

Il sole stava calando sulle note di un tramonto arancione, lasciando che si sbiadisse nelle sue sfumature, fino a colorare finalmente di nero il cielo. La notte, era l'unico momento in cui potevo essere di nuovo me stesso, era il momento in cui i demoni potevano ritornare senza problemi a prendere il controllo della mia vita, ed io potevo affogare nella mia patetica disperazione senza paura di essere inghiottito dall'oscurità immensa.

Era come se Bedford fosse parte di me, come se non me ne fossi mai andato, e quella cosa mi faceva schifo, forse perché era lì che avevo lasciato il cuore che non sapevo di avere. Odiavo quel posto da sempre, ma per qualche ragione sapevo che ci sarei morto, se non avessi fatto qualcosa per spezzare quel cordone.

«Lasciami qui.» Le dissi ad un tratto, interrompendo il silenzio piacevole della sua compagnia, incitandola a fermarsi.

Lei esitò per qualche secondo aggrottando le sopracciglia, presa alla sprovvista.

«Sei sicuro?» Accostò sul bordo del marciapiede e spense la macchina, pochi metri prima del confine di quella maledetta città. «C'é ancora un po' di strada fino a casa tua.»

Si voltò a fissarmi, lasciando cadere le ciocche nere dei capelli in avanti, la sua mano si allungò verso di me, tastando la mia guancia con le dita. Era sempre così posata, sempre così elegante nei suoi gesti, tutto la rendeva perfetta ogni volta che la guardavo.

Distolsi lo sguardo che le avevo posato addosso e scesi dalla macchina mettendo fine a quel contatto, mi sistemai il giubbotto di pelle drizzando le spalle. Chiusi lo sportello, sporgendomi sul finestrino per respirare ancora quel profumo di vaniglia che aveva sempre intorno.

«Grazie.» Soffiai, calmo come non mai. «Per tutto.»

Lei mi guardò con un sorriso triste sulle labbra, e sospirò, lasciandomi capire che non fosse pronta a lasciarmi andare, anche se sapeva che ci saremmo rivisti non appena avessi risolto i miei problemi.

«Prenditi cura di te in questo tempo, Devon. E qualsiasi cosa, sai dove e come trovarmi.»

Strinsi la mano sulla carrozzeria bianca per un istante, abbandonandomi nei suoi occhi tristi. Non le risposi. Mi tirai solamente indietro, e aspettai che facesse retromarcia per sparire via da lì.

Mi guardai intorno, nel freddo spettrale che stava calando lento su quella strada deserta. Mi accesi una sigaretta, lasciando che il suo calore avvolgesse le mie labbra gelide e le mani pungenti dal dolore, causato dalle ferite ancora aperte che mi ero procurato la sera prima.

Camminai a passo svelto lungo il marciapiede, e tagliai corto dai boschi percorrendo la lunga strada sterrata, per sbucare proprio dietro casa.

Un brivido mi attraversò la schiena quando fui di nuovo lì, sul retro di quel posto per cui non provavo niente. Fissai la mia moto, parcheggiata proprio dove l'avevo lasciata, sotto la tettoia per ripararla dalla pioggia, tastai la sua sella con le dita e strisciai i polpastrelli sulla rifinitura opaca che la dominava.

Quanto cazzo mi era mancata la mia bambina?

Strinsi le mani sull'acceleratore, fremevo dalla voglia di cavalcarla e correre in modo incontrollato, ma ci sarebbe stato tempo anche per quello. Era la mia essenza, e non sapevo nemmeno come avevo fatto a sopravvivere tutto quel tempo senza impazzire, senza sentire l'adrenalina che solo il rombo del suo motore sapeva donarmi.

In quel momento, sentì il rumore inconfondibile del pick-up parcheggiarsi dietro di me. Mi voltai, Ash sbatté con forza lo sportello della macchina e rimase immobile, davanti a me, come se avesse appena visto un fantasma.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora