17.

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Rylie.

Calcai il cappuccio nero sulla testa, e mi fermai alla fermata dell'autobus. Mi appoggiai al muro freddo di una vecchia casa abbandonata che si trovava lì, per riprendere il controllo. Mi aggrappai alla parete di cemento e strizzai gli occhi, sperando che quella sensazione di oppressione sparisse all'istante e mi lasciasse riprendere a respirare.

Mi aveva toccata.

Si era permesso di toccare la mia pelle, di soffiarmi sulla bocca, di innescare dentro di me quello che stavo cercando di disintegrare per sempre.

Stronzo, maledetto stronzo.

Cercai di calmarmi, ma fu difficile, visto il prepotente mal di testa che si era insinuato nelle crepe del mio cervello. Stavo impazzendo, e dovevo andarmene subito, prima che la voglia incontrollata di tornare da lui mi avrebbe travolta.

Ma dovetti aspettare per circa un'ora prima che la coincidenza con New York arrivasse, e ne passarono altre quattro prima che potessi mettere piede nel Bronx, visto che lungo la strada c'eravamo scontrati con un incidente e poi avevo dovuto cambiare due coincidenze.

Quel viaggio era stato un inferno.

Camminai lungo la trafficata Wave Hill, fino al locale in cui avevo trovato Connor tempo prima, Hankook. Non mi piaceva quel posto, per niente, ma era stata l'unica soluzione plausibile che avevo trovato in quelle quattro ore di viaggio, pur di non tornare a casa.

Mi sentivo una specie di vagabonda senza dimora, nonostante vivessi ormai in una villa da milioni di dollari ed il mio conto in banca si fosse notevolmente gonfiato, visto che avevo in tasca la carta di credito di mio padre che non avevo ancora nemmeno usato.

Mi guardai un attimo intorno prima di entrare in quel posto, e rabbrividì quando da sola varcai il confine, e mi ritrovai in mezzo ad una massa di gente che di sicuro non aveva un bell'aspetto.

Vagai con lo sguardo e feci qualche passo, sotto gli occhi curiosi di chi si era accorto della mia presenza. Altri invece non mi rifilarono per niente, troppo presi a fumare o bere e sghignazzare tra di loro.

Mi strinsi le braccia al petto e sbuffai, lui non c'era. Connor non era lì.

«Cerchi qualcuno, piccola?» Sentì un respiro nauseante di alcool calarsi dietro di me.

Alzò una mano e mi sfiorò la spalla, permettendosi di toccarmi. Mi scansai, in fretta, parandomi davanti a lui.

Fissai il ragazzo davanti a me, rendendomi conto che lo avevo già visto. Era il tipo che ci aveva indicato questo con posto, quel giorno che con Dylan eravamo andati lì.

Era impossibile non ricordarsi di quella faccia, era perfino carino. Il solito tipo poco raccomandabile e attraente, insomma.

«Sto cercando Connor.» Feci un passo indietro, mettendo la giusta distanza. La sua aria non mi piaceva, per niente.

Lui si guardò un attimo intorno come se lo stesse cercando, poi scoccò la lingua contro il palato. «Jones non c'é.»

«Sai dove posso trovarlo?»

Inchiodò lo sguardo freddo su di me, mi venne incontro, ed io camminai indietro, fino a sbattere le spalle contro la parete dipinta di nero. Mi sovrastò con il suo corpo, le sue dita si chiusero sulle mie guance, stringendo più del dovuto. Mi parlò con il fiato sulla bocca, facendomi venire il volta stomaco.

«Possiamo divertirci un po', nel frattempo che lo aspettiamo.» Disse, alzando gli angoli delle labbra.

Aggrottai le sopracciglia, e d'istinto alzai una gamba, colpendolo dritto sui gioielli di famiglia.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora