11.

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Rylie.

Respiravo a fatica. Anzi, non riuscivo proprio a respirare. Stavo per crollare, me lo sentivo che stavo per cedere, me lo sentivo che avevo qualcosa che non andasse, me lo sentivo che stava per arrivare il momento in cui tutto si sarebbe annullato.

Avevo bisogno di lui, avevo bisogno di sprofondare tra le sue braccia, nel suo profumo forte e deciso, nei suoi occhi azzurri, nel suo cielo immenso che mi aveva sempre salvata.

Tremavo, sapendo che lui non ci sarebbe stato.

«Rylie?»

I miei occhi scattarono, lei era davanti a me e mi fissava confusa, mentre me ne stavo nascosta in un angolo, lontana da occhi indiscreti sperando che nessuno mi notasse sprofondare.

«Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?»

Grace si avvicinò allungando una mano verso di me. Drizzai le spalle e lasciai che non mi toccasse, mi distolsi dai suoi occhi neri, c'era troppo buio incastrato dentro.

«Sto bene.» Mi limitai a dire, scansandomi.

Non sapevo se lei mi conoscesse, non sapevo se tutto quello fosse una coincidenza, ma sentivo puzza di bruciato.

Devon mi aveva imparato a non dare nulla per scontato, mi aveva insegnato a sentire l'odore dei guai da lontano ed io, lo sentivo proprio in quel momento.

Grace puzzava di marcio.

Gli voltai le spalle e camminai dritta, ma lei mi corse dietro. Quante possibilità c'erano che Grace Layton adocchiasse proprio me, in una scuola come la Columbia, che brulicava di gente?

Per me, meno di zero.

«Aspetta!» Mi fermò toccandomi un braccio. «Ti va di prendere un caffè? Ho un'ora buca.»

«Che cosa vuoi da me?» Alzai la voce, che rimbombò nel silenzioso corridoio ormai vuoto.

Lei mi guardò aggrottando le sopracciglia, si tirò indietro, confusa, forse spaventata per la mia reazione.

«Scusa, non volevo infastidirti.» Disse sulla difensiva, passandosi una mano tra i capelli neri.

Sbattei le palpebre più volte e lasciai che il respiro si regolarizzasse. Forse, mi stavo facendo solo un gran film mentale. Forse, Grace davvero non sapeva chi fossi. Infondo, non c'eravamo mai viste a Bedford ed io avevo scoperto della sua esistenza solo quella sera.

«Mi dispiace.» Mi premurai a dire, stringendomi nelle spalle, sentendomi in colpa.

Lei sospirò, distogliendo lo sguardo per qualche secondo.

«Allora?» Incalzò. «Caffè?»

Mi guardai un attimo intorno, prima di ritornare nel suo sguardo.

«Caffè.» Nella mia voce c'era un po' di esitazione, ma dovevo smetterla di vivere incastrata nelle mie catene.

Arrivammo fino alla caffetteria, dove lei ordinò per entrambe. Ci sedemmo su di una panchina, nel cortine immenso della Columbia, dove avevo da sempre sognato di essere.

«Come mai hai saltato la lezione?» Mi chiese incrociando le gambe.

Strinsi leggermente il bicchiere di carta, ricordandomi le parole pungenti di Dylan. Non appena avrei visto visto Jeremy, gli avrei fatto ingoiare la sua stessa lingua per quello che si era permesso di far credere a tutti.

«Non mi sentivo bene, non ero abbastanza concentrata.» Abbassai gli occhi, sull'erba curata delle aiuole. C'erano delle rose piantante, pungenti e rosse.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora