8.

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Dylan.

Mi tirai indietro sotto gli occhi confusi di Tessa. Le sue mani si strinsero più forti sul mio braccio, ed io d'istinto me le scrollai di 'dosso.

«Dylan?» Aggrottò le sopracciglia, e mi guardò infastidita.

Sperai che non avesse capito quello che stavo per fare, perché non me ne sarebbe fregato niente, io dovevo assolutamente trovarla e accertarmi che Rylie stesse bene, al costo di litigare con lei. Avevo visto nei suoi occhi il terrore, e non riuscivo a controllare l'istinto di raggiungerla.

«Torno subito, ho una cosa importante da dire a Michael, aspettami qui.» Mentì, sperando che non facesse scenate.

Non aspettai che dicesse nulla, le voltai semplicemente le spalle e mi feci spazio tra la gente che riempiva fastidiosamente il nostro giardino.

Nonostante odiassi quelle stupide feste per le donazioni, me le facevo andare bene. Perché come aveva detto Richard, grazie a tutto ciò Yole stava bene, e per quello non l'avrei mai ringraziato abbastanza.

Camminai lungo il bordo della piscina e oltrepassai la siepe, mi guardai intorno più volte fino a quando, arrivato all'angolo della casa, mi voltai.

Rylie era accovacciata su se stessa, aveva la mani sulle orecchie, e le sue guance erano zuppe di lacrime. Sembrava una bambina indifesa e sul punto di spezzarsi in mille pezzi.

«Darling?» Mi abbassai alla sua altezza, molleggiando sulle ginocchia.

La presi per i polsi e le tolsi le mani dalle orecchie. Lei spalancò gli occhi rossi, il trucco le era leggermente colato, ma quella cosa la rendeva perfino deliziosa.

«Che succede?» Le mie mani si posarono a coppa sul suo volto, cercai con i pollici di cancellare via le lacrime calde, ma lei si scansò.

«Va via, Dylan.» Singhiozzò abbassando gli occhi.

Il respiro accorciato sembrava uscirle a fatica ed era fredda come il gelo, Dio se avrei voluto stringerla forte sul mio petto.

«Non vado da nessuna parte.» Soffiai avvicinandomi al suo viso, e facendole alzare lo sguardo con due dita sotto il mento.

I suoi occhi verdi mi guardarono, pregandomi di restare con lei anche se mi aveva appena detto il contrario, mi scrutarono attentamente e poi si posarono sulle mie labbra. C'era tensione in quel momento, c'era qualcosa tra di noi che non riuscivo a spiegarmi.

«Puoi andare, sto bene.» Mi ripeté ancora, con la voce spezzata.

«É per quello che ha detto tuo padre, vero? É perché non glielo hai ancora detto?» Il fuoco mi bruciò nello stomaco, odiavo parlare di quell'argomento.

I suoi occhi si spalancarono leggermente, mi guardò spaesata e poi scosse il capo passandosi una mano sulla bocca, forse era sorpresa per il fatto che l'avessi capita al volo.

«Anch'io come lui avrò bisogno di un trapianto, quando e se sarà il mio momento. Io, non sono stata così fortunata come Yole.» Fu come se si stesse sfogando, incapace di trattenersi ancora.

Drizzai le spalle, il sangue mi defluì dal viso, sentì la terra sotto i piedi mancarmi, tanto da dovermi alzare e appoggiarmi alla parete per aggrapparmi e fissare il vuoto per qualche secondo.

Fino a quando non mi resi conto al cento per cento di quello che aveva appena detto, della gravità della cosa, e mi voltai ancora verso di lei.

«Tu adesso vai da lui e glielo dici, se non vuoi che lo faccia io.» Le ordinai.

Fino ai tuoi occhi - Secondo volumeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora