XII.

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Non si vedeva, ma Jeongguk tremava. Batteva i denti, se ne stava al di sotto della tettoia del centro commerciale al freddo della domenica mattina.

Drrr... con le mani strette agli avambracci che li strizzavano alla ricerca di calore. Colpa sua: s'era messo uno striminzito cappottino di pelle che lo rendeva solo bello, a sua detta.

Copriti, gli aveva detto Namjoon, che quella mattina anche lui in programma aveva d'uscire con Emma e qualchedun altro dell'allegra combriccola degli strani.

"Ehm... ciao." semplicemente. Una voce familiare, calda e soffice, alle sue spalle.

"Ciao, Taehyung!"

Sull'attenti: Jeongguk non si toccò più le braccia, se le mise in tasca per non sembrare infreddolito, ma sciolto e confidente.

Erano le undici in punto, ed era stata scelta sua quella di arrivare in eccessivo orario per aspettare Taehyung. Ma per buona dedizione alla conoscenza ed amicizia si scende anche a patti, e Jeongguk, non solo per sembrare bello, era disposto a patire il freddo parigino.

"Scusami il ritardo." alle undici e zero uno: un ritardo abbastanza innocuo, per cui Taehyung si schiaffò ancora una mano in testa. Ma nella sua mente, così che Jeongguk non potesse vedere quanto in realtà fosse impacciato e disadatto con lui.

"Non sei in ritardo." e ancora Jeongguk mise in risalto, e per sbaglio, quella sua dolce ridicolezza che gli nasceva in presenza del piccolo principe. "Entriamo?"

"Oh, sì. Certo..." si era impalato. Quel dinamico e sveglio, a suo parere, ragazzetto dagli occhi bruni, lo risvegliò. Lo immobilizzava sì, ma seguiva la sua voce, i suoi passi e addirittura i movimenti delle sue mani. Gli aveva detto che era un artista, cosa che, ancor prima della sua dichiarazione, aveva sospettato.

Un biglietto per Jeon Jeongguk; uno per Kim Taehyung. E la meraviglia del primo gli si lesse negli occhi così che questi da languidi e addormentati quali erano si dilatassero fino a coprirgli del tutto l'espressione.

"E tu lo conosci..." una riflessione fatta per caso, così. Gli era uscita, mentre pensava a voce alta, senz'accorgersene. "Uhm...?" Taehyung dall'entrata sin lì era rimasto col volto a Jeongguk, mentre questi guardasse per aria.

"Tu lo conosci. Tu conosci Okuda." Jeongguk da col naso all'insù calò verso di lui.

"Oh sì, certo..."

Se l'arte non si evolve verso la pittura sperimentale, se non in scultura da mostre e biennali, indubbiamente si tramuta in esposizione, talvolta in performance. E tale era, perché l'artista in questione aveva cambiato le carte in regola dell'arte nuova: non era né scultura né pittura, né performance né immagine statica. L'arte di San Miguel - pensava sempre Jeongguk - era un semplice segno distintivo.

Un pattern cromatico ed armonico passava davanti agli occhi dei due: le pareti del tutto colorate in quel medesimo stile, e degli specchi che gli davano illusione così che lo spettatore, anche ingenuo, credesse di essere non in un piccolo corridoio di cartonati bensì in un labirinto immenso e tappezzato di magia.

"Guarda, Taehyung..."

Ma pensieri che gli ronzavano in testa, che avevano tutti a che fare con quel San Miguel, erano del tutto diversi da quelli di Taehyung. Lui era soddisfatto d'aver soddisfatto Jeongguk.

Per troppo tempo s'era rintanato e calcificato in sé per tutta quella storia di Marcel: era divenuto statico, e solo poco interessato alle proprie emozioni. E sapere di poter, riuscire a far qualcosa che rendesse almeno contento anche qualcuno che poco conosceva lo rendeva soddisfatto.

MelRose | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora