XXI.

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Il momento preferito di Taehyung era il sabato pomeriggio fra le cinque e le sette, che, durante la primavera a Parigi, trasformava il cielo dai colori caldi e dalle nuvole candide in una distesa violetta come le immense coltivazioni della Provenza: quei campi di margherite glicine, quelli di lavanda fitta, facevano ricordare a Taehyung la sua infanzia. Per questo era affezionato all'ora della sera: perché gli ricordava il mondo materno, primordiale, quello in cui Marion era nata; quel mondo magico e lontano dal consumismo assiduo e totalitario della realtà borghese, verso cui scriveva fiumi di parole impegnate.

Sommerso da quello stesso piumone, d'inverno caldo, d'estate fresco, in cui si rigirava e rigirava per trovare il modo di finire il settimo capitolo del suo saggio: Galimard premeva per una consegna tempestiva; vogliamo uno o... due capitoli alla settimana, come se la scrittura e le idee gli venissero a comando, pur tanto razionali e schematizzate, prima di esser messe a testo in ogni loro minuzia e sfumatura. Passare del tempo con Jeongguk lo aveva reso incredibilmente più spontaneo: era quel nodo di cinismo, di eccessivo pessimismo, a venir guarito dalla semplicità magica di MelRose.

MelRose: il nome che da giorni e settimane aveva per la testa. Taehyung scriveva la mattina appena sveglio, senza colazione, nemmeno un bicchier d'acqua: era la foschia del mattino ad ispirarlo, nel suo piumone rinvolto che dava forma alle idee, appuntate la sera prima, su di quella lavagna di sughero in fronte al suo letto; nella vita di Taehyung era tutto pensato, niente fatto a caso. Tranne Jeongguk, lo stesso MelRose, o piccolo principe, che dal primo giorno danzava nella sua testa prima agitato, poi leggiadro, poi felice, poi malinconico, ed infine sognatore; lo stesso MelRose, che lo distoglieva dal pensare razionale della sera prima, quando aveva organizzato bigliettini colorati, tanti tanti post-it, tutti appuntati con delle spillette colorate. Taehyung passava ore a fissare la lavagna, ma il suo unico pensiero, la sua unica immagine, ora, era Jeongguk che sorrideva.

Si erano visti, purtroppo poche volte. Jeongguk gli diceva di potersi liberarsi di esami e lavoro per vederlo, e ci riusciva con tanto impegno perché col tempo s'era accorto che la presenza di Taehyung gli portava un non so che di calma, tranquillità, quella razionalità propria dello scrittore che gli donava pace, qualora la sua passione bruciasse incontrollata sulle tele, sulle sue opere, che dipingeva a tarda notte e poco prima che sorgesse l'alba.

Taehyung, tutto il contrario; per mia sfortuna, se lo rimproverava spesso. Una nota di malinconia gli attraversava l'espressione quando Jeongguk lo chiamasse e gli chiedesse con la sua vocina ilare Tae, ho finito di studiare tutto in tempo, oggi non ho neppure il turno! e sapeva che anche quella volta avrebbe dovuto tirarsi indietro. E tutto per colpa della sua mania di libertà da Marcel- anzi no, tutto per quel suo comportamento autoritario, che, talvolta, glielo faceva detestare. Fosse stato diverso, l'avrei amato ancor di più: Taehyung rivangava il passato, come se ci fosse ancora una remota possibilità di aver quel qualcosa dei primi tempi insieme felici e spensierati.

Quando Jeongguk gli diceva Tae, ho preso il turno libero per stare con te- possiamo andare al Louvre e replicare l'uscita di qualche settimana fa; nel messaggio gli scrisse perfino: stavolta la crêpe la pago io, con annessa faccina sorridente, poco poco di supplica, ti prego. Taehyung, a cui si stringeva il cuore nel pensare che Jeongguk avesse preso il turno libero per stare con lui, parlare d'arte e confabulare contro le contraddizioni della loro superficiale società, s'impediva di dirgli un no secco ma dispiaciuto. Ed uscivano insieme, mentre le bozze non corrette per Galimard rimanevano all'aria fredda della sera di Parigi, a sfogliarsi davanti alla finestra che nella fretta si era dimenticato di chiudere.

Taehyung sapeva, razionale, che non gli conveniva, per nessun che al mondo, di lasciar andare MelRose, di lasciare incoltivato il rapporto, così come già avvenuto, con le petit prince de l'art. Se l'uno la razionalità, l'idea ragionata e la stabilità ferma, l'altro l'arte, unita alla passione, la sensibilità e la compassione, carico emozionale che Taehyung non riusciva a controllare, e dunque da questo si faceva contagiare. Se la razionalità e la passione, pur in contrasto, sono complementari, allora così, come due opposti che s'attraggono e si completano, Taehyung e Jeongguk si ricercavano l'un l'altro: l'arte trovava giudizio critico di spiegazione, prendeva forma, in Jeongguk si realizzava e Jeongguk stesso cresceva, si liberava dalla coltre ordinaria avversa all'originalità ed al genio; il giudizio, al contrario, si ritagliava quel piccolo spazio nella passione per non dirsi così tanto più giudizio, e riusciva ad essere quanto più equilibrato possibile fra la critica e la sensibilità della persona, ora, molto più empatica. Innegabile che Taehyung e Jeongguk si cercassero, perché come una costante il fatto che si dovessero incontrare per realizzarsi. Il dramma si placava in Taehyung, e ciò avveniva per merito dell'altro, quel dramma giustificato dal disprezzo d'appartenere ad una classe ipocrita che non lo definiva, quel contrasto fra personale ed esteriore che, solo a volte, solo in parte, capiva le sue idee, costruite e plasmate a tanta fatica.

MelRose | VKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora