CHAPTER FOUR

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LUKE'S POV

Era scappato via sfiorandomi la spalla. Di solito avevo dei buoni riflessi e sarei riuscito sicuramente a fermarlo, ma il mio corpo si era bloccato a guardarlo scappare fuori la porta, fino a casa sua, entrando sul retro. Pensai che forse era colpa mia, mi ero avvicinato troppo e in fretta: rovino sempre tutto. Ma con lui era impossibile non avvicinarsi!

Mi aveva catturato già da quella sera, quando lo vidi fissarmi, lo guardai dormire fino all'alba quando, dopo aver appeso il biglietto, crollai nel sonno più profondo. Speravo mi parlasse, speravo mi dicesse qualcosa o magari mi dicesse che non era stupido stare lì e sperare che uno come lui stesse con uno come me. Insomma, lui era perfetto: con quegli occhi scuri, quei capelli nero pece alzati in un ciuffo, quelle lacrime che gli rigavano la pelle ambrata..

Non potevo lasciarmelo scappare, non uno come lui, come Calum.

Quando uscii dal bagno andai verso Elisa, rassicurandola che il fratello era tornato a casa. Lei mi sorrise e una fossetta le segnò la guancia destra: era così simile a lui, solo che quando sorrideva lui erano almeno mille pugni nello stomaco.
Dopo la festa salii in camera mia: avevo chiesto di Calum alla sorella ma non avevo saputo molto, o almeno non era ciò che volevo sapere. Mi aveva detto che frequentava il liceo, che stava spesso in camera sua e che non aveva molti amici a Melbourne; affermai che lui aveva una faccia simpatica e buffa e che sicuramente era simpatico: dopo quella mia affermazione me lo disse. Mi disse che Cal non apriva bocca da più di dieci anni. Mi trattenni dal portare una mano a coprire la mia bocca semi aperta. Mi ripresi quasi subito affermando

"il fatto che non parli non mi può fermare dall'essergli amico, no?"

Elisa mi sorrise con gli occhi lucidi, forse pensava a quanto fossi infantile, o forse a quanto ci credessi e sperassi di essere un (più che) amico per Calum.
Quando andai alla finestra non trovai nessun biglietto, solo lui che dormiva beato. Scrissi su un foglio:

"notte Cal"

Speravo tanto mi rispondesse.

Il giorno dopo mi svegliai verso le 10.00. Andai alla finestra speranzoso di trovare un biglietto attaccato alla sua finestra, ma niente.
I giorni passavano e ormai era una settimana che controllavo la finestra.
Saltavo gli allenamenti di calcio per restare lì a guardare quella stanza che all'apparenza sembrava vuota, ma lui era dall'altra parte del letto, quella che non vedevo. Mi mancava. Ormai tutto di lui mi mancava, ma non avevamo mai scambiato una parola. E se non gli stavo nemmeno simpatico?
La domenica mattina mi alzai dal letto e andai a controllare la finestra: c'era appeso un biglietto, ma non mi aspettavo un biglietto del genere.

"allontanati"

Una fitta al cuore. Presi il pennarello nero e un foglio e scrissi in grassetto:

"sono pur sempre il tuo vicino".

Attaccai il biglietto e rimasi lì ad aspettare che lo leggesse: ci mise cinque minuti; si avvicinò alla finestra con i capelli coperti da un cappello nero, addosso aveva una maglia grigia e dei pantaloni con fantasia scozzese. M guardò negli occhi, erano arrossati. Stava piangendo?
Presi l'intero quaderno e scrissi su una pagina.

"perché piangi?"

Abbassò lo sguardo:credeva non lo avessi notato?

"dormivo, non piango."

"smettila"

"di fare cosa?"

"mentirmi"

Esitò a scrivere tenendo la penna sul foglio. Poi scrisse.

"non sto molto bene"

"vuoi che venga lì?"

THE SOUND OF SILENCE || CAKE ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora