18. Stuck on the puzzle

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Alex si alzò di scatto, guardandola dritta negli occhi. Mosse qualche passo all'indietro, mentre lei lo guardava, immobile.

"Cosa ci fai qui?" Le chiese, lasciando percepire quanto ancora fosse ferito da come l'aveva respinto. Asia si strinse nelle spalle, guardando altrove.
Era esattamente come quella sera di quasi due mesi prima: il freddo, le stelle, il buio. Tutto sembrava uguale, come se il tempo non fosse mai passato. Ma loro erano diversi.

"Scusa, pensavo solo..." Si guardò indietro per un istante, come se stesse soppesando l'idea di scappare ancora una volta da lui. "Scusami, non dovrei essere qui." Fece per andarsene, ma la sua voce la fermò. Era tagliente, non perché fosse arrabbiato, ma perché era sinceramente ferito. E Asia aveva sempre trovato più spaventoso dover parlare con una persona ferita e delusa piuttosto che con una infuriata.

"Perché mi hai mandato via?" Lei rimase in silenzio, non incrociando il suo sguardo, ma muovendo qualche passo all'indietro verso le scale. Lui aprì le braccia in un gesto plateale di sconfitta. "Allora?"

"Perché ti ostini, Alex?" Ed eccola di nuovo lì, con quel tono accusatorio, quando proprio lei non poteva accusarlo di nulla. "Cosa vuoi che ti dica? Cosa speri di sentirmi dire?!"

"La verità per una volta!" La raggiunse a grandi passi e lei si sentì mancare l'aria e gli occhi pizzicarle per la terza volta quel giorno. "Dimmi che non ti piaccio, dimmi che non sono abbastanza e chiudiamola qua!"

"Ma non è così!"

"E allora perché?" La voce gli si ruppe, guardandola dritta negli occhi. Una volta era lei a studiarlo, ora era lui a cercare di entrare negli angoli più remoti della sua mente. Ma lei continuava a spingerlo via, a mettere dei muri.

"Ho avuto paura."

"Di me?" Lei non rispose, guardando la città sotto di loro. Alex mosse due passi all'indietro, chiedendosi se la stesse spaventando anche ora.

"Non ho avuto paura di te." Mormorò finalmente, asciugandosi le lacrime che rilucevano al chiaro di luna. Il riverbero dei lampioni illuminava a malapena le loro indistinte figure nel buio, che acquisivano forma solo grazie alla flebile luce grigiastra della luna piena che splendeva nel cielo, come se li stesse giudicando dall'alto.

"E allora di cosa?" Ormai si sentiva disperato. Cercava sempre di districare quell'enigma che era Asia e ogni singola volta che pensava di avercela fatta a capirla almeno un po', si ritrovava con il pezzo mancante del puzzle in mano e davanti la figura composta da pezzi nei posti sbagliati.

Lei riportò gli occhi nei suoi, questa volta non c'era niente dietro cui proteggersi. Non c'era musica, rumore, persone. Erano solo loro due, nel silenzio. Due sagome nel buio.

"Non so nemmeno come spiegartelo, Alex." Sospirò impercettibilmente, passandosi una mano tra i capelli smossi dal vento. "Non volevo ferirti..."

"Già, tu non lo vuoi mai...Eppure lo fai sempre." Asia lo guardò come se le avesse appena sgretolato il cuore davanti. "Di cosa hai paura? Che ti farò del male?"

"Ho paura di non essere abbastanza." Le parole le uscirono di bocca senza poterle fermare. Forse invece aveva inconsapevolmente deciso di dirlo, pur di liberarsi di quel peso. "Ho paura che, quando te ne andrai, capirai che puoi avere di meglio." Alex rimase fermo a guardarla. Il silenzio gli riempiva le orecchie; la confusione, la mente. "Ho paura che ti dimenticherai di me." Spostò lo sguardo, asciugandosi gli occhi. Una folata di vento li accolse.

"Perché pensi alla fine se non siamo nemmeno all'inizio?"

"Lo hai detto anche tu, Al, non sono tipo da lasciarsi andare facilmente." Alex rimase ad ammirarla sotto il chiaro di luna, prima di porre delicatamente la mano sulla sua guancia, come se avesse paura di ridurla in polvere se avesse usato anche solo un po' di forza in più. Il suo pollice le accarezzò dolcemente  lo zigomo, asciugandole le lacrime.

"Se fai così, ti perdi il senso della vita." Disse, ripetendo esattamente le parole che le aveva detto quella sera a casa sua. Asia lo guardò con un mezzo sorriso, decidendo di stare al gioco.

"Perché, tu sai qual è?"

"Certo che lo so."

"E quale sarebbe?" Ma stavolta lui non rispose. La guardò negli occhi prima di prenderle il viso tra le mani e baciarla di nuovo. E poi ancora, ancora, ancora e ancora.
E mentre entrambi percepivano il calore delle loro lacrime scivolare sulle loro guance, si tennero stretti l'uno all'altra.

Perché amarsi faceva male, ma non farlo era peggio.

Spazio autrice assolutamente skippabile

Ehilà regaz, come state?
Scusate, ci ho messo un casino a pubblicare questo capitolo che per giunta è cortissimo, ma nel frattempo mi sono venute in mentre altre 9 trame che la mia testa malata è convinta sarebbero da Nobel.
Ad ogni modo, stavolta il titolo ve lo spiego perché...boh mi va.
Stuck on the puzzle è una canzone scritta da Alex Turner per il film Submarine (correte a vederlo, io ci ho speso tutte le mie lacrime). Questa canzone parla dell'infatuazione per qualcuno che sembra irraggiungibile. Il narratore infatti descrive il suo desiderio per una persona particolare, che possiede questa apparenza magnetica che lo attira. È incantato da lei e passa le sue notti cercando di risolvere il suo enigma, ma si sente incapace di svelare i segreti che la rendono ciò che è, per questo viene fatto il paragone di essere bloccato in un puzzle.
Proprio come per il narratore, Alex nel capitolo mostra come cerchi di capire Asia e ciò che le passa per la testa, ciò che la rende così "magnetica" per lui, trovandosi sempre bloccato però nel puzzle.
Ci vediamo al prossimo capitolo,
ciauz
-Fla

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