Capitolo 16 - La vita in città

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Lothus e Kadom preferirono dormire fino a tarda mattinata piuttosto che salutare i loro compagni di viaggio. Di conseguenza, dopo essersi svegliati e deciso di fare colazione sfruttando le cucine della loanda, l'oste fu contento di informarli che i loro amici erano partiti senza pagare le rispettive quote per la notte e che quindi il debito sarebbe ricaduto sulle loro spalle.
Poco importava, restando almeno un mese in città avrebbero trovato il modo di rubare i soldi necessari, o al limite di scappare senza pagare.
I due mangiarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri e contento di non dover far conversazione con una persona che tutto sommato non gradiva particolarmente. Come se potessero leggersi nel pensiero (cosa che in effeti Kadom era in grado di fare), si alzarono dal tavolo e ognuno si incamminò per la propria strada senza curarsi di aggiornare il compagno sulle proprie intenzioni.

Lothus, durante la mezz'ora passata a mangiare in tranquillità, era giunto alla conclusione che per cercare Imo trenta giorni erano anche troppi, quindi preferiva prendersela comoda e cominciare la permanenza in città con un paio di giorni di relax. E basta. Non era riuscito a formulare pensieri che andassero oltre a questo, come ad esempio cosa fare per rilassarsi o cosa esattamente lo avesse aiutato a stabilire che trovare il ranger elfo avrebbe richiesto poco tempo.
Di solito questo non si rivelava un problema: in genere le sue giornate iniziavano andando a dormire su un carretto mentre i compagni di viaggio decidevano dove andare e perché andarci, poi si svegliava e a quel punto realizzava di esser stato trascinato dal gruppo nel ben mezzo di un combattimento, puntato contro il nemico che ad occhio e croce picchiava più forte di tutti i presenti, e caricato a molla a dovere per intrattenerlo e permettere agli altri di evitare ferite gravi.
Quello, oppure si ritrovava incatenato da solo nella stanza delle torture all'interno della torre che Nuril ogni tanto aveva il piacere di evocare.

Non sapendo cosa fare, si lasciò trasportare dalle due corte gambe che aveva a disposizione quel giorno e guidare dal naso di un nano lievemente obeso e non lievemente alcolizzato. 
Zompettando di pub in taverna, e riuscendo in qualche modo a trovare sempre un posto più infimo del precedente, spese in una mattina abbastanza soldi da poter comprare per intero la locanda presso la quale aveva prenottato la notte precedente. 
In effetti i soldi non erano mai stati un vero problema per il gruppo di avventurieri. Il problema era separarsene. L'avarizia era forse l'unica caratteristica che accumunava i cinque individui, ed erano poche le cose per cui quindi erano disposti a spendere il loro oro sudatamente rubato.
Un posto per dormire non era tra queste, soprattutto quando accanto a te avevi una maga in grado di evocare stanze da letto (e di intrattenimento) alla modica cifra di niente. Le braccine da t-rex di Lothus, ad esempio, si allungavano solo per pagare prostitute di alto bordo e vini pregiati.
Quella mattina in effetti non aveva incontrato nessuna delle due cose, ma gli uomini dietro ai banconi delle taverne in cui era entrato erano stati bravi nel riconoscere in lui il rozzo e ignorante campagnolo che era. Si poteva aggiungere quindi una terza voce alla lista dei possibili investimenti di Lothus, ossia del piscio scadente spacciatogli con successo per spumante da grandi occasioni. Una rarità, posseduta dalla totalità degli esercizi commerciali di Rocca del Corvo.

Il trend della sua giornata, ossia quello di passare da un buco di fogna ad un buco peggiore del precedente, venne interrotto da un vestito di velluto rosso e profumo di rosa, probabilmente anche quella rossa.
Lasciatosi ammaliare dalla bellezza della donna che aveva inavvertitamente attirato l'attenzione del nano semplicemente esistendogli entro cinque metri di distanza, Lothus la seguì dovunque avesse intenzione di andare. Ovviamente, a distanza di cinque metri e senza mai rivolgerle la parola.
Passando per un forno, un negozio di utensili da scrittura, ed un fioraio, Lothus venne infine condotto di fronte ad un edificio piccolo ma gande, anonimo ma di squisita fattura. Si era allontanato dal centro della città, il cielo ormai era volgeva all'imbrunire, e la natura aveva ricominciato a vincere la lotta per il predominio contro la mano dell'uomo. Le strade erano sterrate, anche se ben messe, e la vegetazione cresceva incolta ai lati di esse.
L'edificio si adeguava perfettamente al paesaggio che lo circondava, con rampicanti che ne circondavano i muri sperando un giorno, tra molti anni, di inglobarlo per intero. Le tre file di finestre, che anticipavano il numero dei piani di quella che un tempo poteva essere stata la villa di un nobile, facevano trapelare all'esterno la luce di svariati camini accesi, e già sembravano riscaldare l'atmosfera anche all'esterno.

La donna si diresse senza esitare al portone principale, attraversando un cancello di metallo aperto, e dopo aver bussato un paio di volte sparì all'interno dell'edificio scortata dal maggiordomo che le aveva appena aperto.
Lothus, che si era fermato prima di attraversare il cancello per nascondersi dietro una ringhiera che a stento avrebbe camuffato una sembra a scrisce nere e verdi, aveva acuito i sensi per percepire una parola d'ordine o una bussata speciale, ma i suoi sforzi sembravano essersi rivelati non necessari. Strano, perché per esperienza personale quella magione gli sembrava proprio un posto da club segreto con relativo codice di accesso.
Il nano si spogliò, levandosi la camicia sporca del pranzo (prima o dopo che fosse stato ingerito non era chiaro), e tirando fuori dalla sua tasca dimensionale un abito più elegante che riservava per le occasioni speciali. Alias, inzuppare il biscotto.

Senza tentennare, Lothus ripercorse gli stessi passi che aveva visto fare alla donna che aveva seguito fino lì e busso alla porta della villa. Una voce maschile gli rispose dall'interno.
"Parola d'ordine?"

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"Un warlock? Che cosa è?" Chiese Enned.
Kadom, subito dopo aver fatto colazione, aveva deciso di affrontare le proprie paure e di andare a visitare per la seconda giornata di fila la bambina ai moli. L'alternativa era quella di girare per la città con l'ansia di essere schiacciato come un insetto da un momento all'altro, condizione psicologica abbastanza difficile da sopportare per un mese intero.
E così, decidendo di levarsi il cerotto e sperare che la ferita non fosse abbondantemente in necrosi, aveva fatto ricorso a tutto il suo coraggio per incamminarsi verso il distretto portuale della città piuttosto che partire per un altro continente.

Dal giorno precedente non riusciva a togliersi di testa l'immagine di quella ragazzina dagli occhi color del mare che, sorridendo con l'ingenuità che solo i bambini possono avere, versava da bere acqua calda alle sue bamboline voodoo. La scena, che fosse inquitente o meno a seconda dei gusti, non era di per sé un problema.
Ciò che aveva fatto scattare tutti i campanelli di allarme di Kadom era il fatto di non aver percepito nessun tipo di energia magica provenire da Enned. Il warlock, grazie ad un patto stretto in tenera età, era in grado di vedere sotto forma di aura intorno alle persone la rappresentazione del loro potere di manipolare la magia.

Ogni persona aveva un'aura. Un individuo comune, che mai aveva sentito di parlare di incantesimi in vita sua, ne aveva almeno uno sputacchio. Un dio antico ne aveva abbastanza da far sembrare che una cascata di colori risalisse verso il cielo alle sue spalle. 
Il potere di un mago si valutava, o per meglio dire veniva valutato da Kadom, in base alla quantità di aura che possedeva e dove quella quantità si collocava nella scala tra contadino e divoratore di mondi.
Anche gli animali avevano un'aura.
Enned no.
La cosa si sarebbe potuta spiegare se la bambina fosse stata un cadavere morto da tempo, ma il fatto che si muovesse e che qualcosa le battesse nel petto - Kadom aveva controllato - confutavano quella possibilità.

E come aveva fatto l'avventuriero ad acquisire un potere così utile in tenera età? Grazie ad una specie di sesto senso che lo accompagnava sin da quando era nato e che gli permetteva di intuire a primo impatto se un individuo fosse pericoloso o meno.
Spesso le cose pericolose erano anche quelle che celavano tesori più grandi, e grazie al suo radar interiore era infatti riuscito ad evitare patti svantaggiosi con entità di poco conto, pronte a chiedere la sua anima per poteri insignificanti, e offrire parti di sé solo a chi effettivamente aveva merce valida con cui scambiarle.
E quello stesso sesto senso gli urlava dentro incessantemente dal giorno precedente, avvisandolo che quella bambina era l'entità più pericolosa che aveva mai incontrato e che l'unica cosa saggia da fare era scappare il più lontanto possibile da lei.
Kadom però non era saggio fino a quel punto. Kadom era avaro, in questo caso di potere.

Le cose non erano però andate come aveva sperato mentre sognava ad occhi aperti durante la colazione. No, il suo cervello non era stato usato per ridipingere le mura della catapecchia di Enned e quello già era un piccolo successo.
Ma allo stesso tempo la bambina eccezionale a cui aveva sperato di poter rubare qualche segreto o potere magico si era rivelata essere una bambina semplicissima. Tutto quello che le interessava era giocare, non parlare di incantamenti e rituali; se volevi intrattenere una conversazione con lei, per altro, dovevi far attenzione ad usare termini semplici per non rischiare di confonderla e perdere la sua attenzione.
"Un warlock - si trovò costretto a spiegare Kadom COME SE parlasse ad una bambina - è una persona che fa promesse ad... ad esseri grandi e grossi per... per diventare più forte."
"AAaaaaaahhhhhhHHH!" gli rispose Enned come se avesse capito esattamente di cosa stesse parlando Kadom. "Non sapevo che si dicesse così. Certo che sono un warlock allora."
Un sorriso si allargò sulle labbra di Kadom, un sorriso che aveva ben poca innocenza fanciullesca.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 29, 2023 ⏰

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