CAPITOLO 12

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Capitolo 12

Non ricordo di aver mai visto la mia casa così buia. L'odore del lucidante per mobili e della naftalina, mi riempie le narici. Una strana sensazione di paura serpeggia in tutte le mie viscere. Dov'è papà? Come mai le luci che di solito sono accese oggi non donano nessuna luce? Eppure lo sanno, sanno che da quando è morta la mamma il buio mi spaventa, sono grande ma ho paura lo stesso. Lo studio di papà è in penombra, i grandi mobili in mogano scuro e la moquette verde sul pavimento danno alla stanza un aria austera, ho sempre avuto la piena convinzione che diventare un imprenditore non è la mia strada; mio padre dal giorno in cui sono venuto al mondo: ha fabbricato castelli in aria sulla mia vita e la mia futura carriera. Ma io non sono sicuro che stare in giacca e cravatta dietro ad una scrivania sia la mia strada, no non lo è.
Sono solo in casa continuo ad avere una strana sensazione di paura... "Oramai sei grande Roberto, niente deve spaventarti" c'è qualcosa che non va secondo te? "No c'è niente, stai tranquillo. Solamente la casa vuota per la prima volta in vita tua"
Papà mi fissa dal grande quadro appeso nello studio; ha una grande cornice dorata. In questa foto i suoi capelli sono tutti neri.
-Io voglio diventare un pompiere papà, sarò un eroe.
I suoi grandi occhi scuri, tanto diversi dai miei, mi fissano severi.
Perché? Perché le mie iridi sono quasi bianche?. Mamma diceva che sono color ghiaccio come quelle dei vichinghi. Papà mi ha portato in molti specialisti; per paura che potessi, un giorno, divenire cieco. Ma io ci vedo benissimo "lo dicono anche i medici" è vero lo dicono anche loro. Mamma diceva anche che: il mio corpo era forgiato nel ferro più pregiato, è vero, a quattordici anni sono molto alto e il mio corpo è già ben definito: senza l'aiuto delle palestre.
-Il mio guerriero dei ghiacci.
Diceva la mamma.
Volevo bene a mamma. Mi ha anche chiesto di occuparmi della mia famiglia. Allora io per lei, veglio su papà e sulla mia sorellina, lo faccio con piacere.
Ho paura a casa da solo.
Papà, penso, che non sia fiero di me, però mi vuole bene. Il suo socio mi fissa sempre in modo strano, per me è cattivo. Ma con papà sono cresciuti assieme, come me e sal, e si vogliono bene, papà ha anche battezzato sua figlia. Si ha una figlia della mia età, lui dice che: desiderava un maschio, proprio come me. Ma un giorno io e lei dovremmo sposarci. A me non piace, preferisco Noemi.
Mi siedo alla scrivania di papà, nella mia mente si forma l'idea di me lì, nella stessa stanza di papà, magari in una casa più grande, tutta su un piano. Non amo questa casa a piani. Odio la mia stanza lassù, tutto solo...
Prendo in mano la penna; c'è un documento, lo sfoglio: parla dell'acquisto di un ospedale. Sono distratto dalla lettura.
Quando alzo gli occhi dall'altra parte della scrivania quell'uomo mi guarda: sempre in quello strano modo.
Sorrido a Mercurio il socio di papà. Anche lui mi sorride, ma il suo sembra più un ghigno sprezzante.
-Cosa ci fai qui da solo, Robbie?.
-Ero venuto a cercare papà.
Rispondo prontamente. "Siamo nei guai?" Papà non mi ha mai vietato di entrare qui dentro quando lui non c'è...
-Capisco... Alzati Roberto.
Le mie gambe tremano leggermente, non so perché, ma ho paura di lui. Rimango fermo, seduto a fissarlo.
Si alza in piedi.
-Ti ho detto di alzarti! Sei per caso sordo oltre che cieco, piccolo Roberto?.
Sgrano gli occhi, mi alzo in piedi. Lui è più alto di me, ed è molto grosso.
-Sei indisciplinato, piccolo. meriti di essere punito.
Non riesco a comprendere appieno quello che dice. Aggrotto le sopracciglia, un espressione confusa dipinta in faccia.
Il manrovescio che mi arriva in pieno volto; mi fa barcollare e sanguinare il naso. Rimango inerme sotto shock fin quando un altro manrovescio non mi fa cadere disteso a terra, picchiando malamente la nuca sullo spigolo della scrivania di papà. Dov'è papà? Qualcuno mi aiuti!.
Mi sento intontito dalla botta, la mia testa ciondola in modo strano. Continuo a tenere lo sguardo sull'uomo che adesso si sta togliendo la cintura dai pantaloni. Sento scolare il sangue dal taglio alla testa, fa male, non parlo.
Perché mi fai questo? Cosa ti ho fatto?.
La prima cinghiata mi fa urlare. Subito sulla mia pelle compare una lunga striscia violacea.
Sono un uomo non devo piangere, ma le lacrime solcano le mie guance e si mescolano al sangue.
Mi strattona per i capelli voltandomi di schiena. Mi lega le mani con quella dannata cinghia.
Perché? Cosa ti ho fatto?.
La mia fidanzata! Cosa le dirò stasera quando verrà?.
I suoi calci allo stomaco mi fanno urlare ancora. Sono inerme incapace di reagire.
Perché? Cosa ti ho fatto?.
Disteso sul pavimento, non riesco a muovermi, la testa, mi fa male, mi fa male la testa. Piango.
Strappa i miei pantaloni. Vuole picchiarmi ancora, ancora...
Mi accarezza.
-Che corpo stupendo.
Ansima.
-Ti piacerà da morire...
Sento il mio corpo lacerarsi dal dolore, qualcosa di grande ha penetrato la mia carne.
UMILIATO. UMILIATO!.
-No, No, No!.
Urlo, urlo di disperazione.
Sento l'odore disgustoso delle secrezioni dell'uomo. Quel rosso liquido, caldo e vischioso che mi cola dai gluei fino alle gambe.
-Sì sì così, Roberto. Sei stupendo, ti voglio.

Le mie urla squarciano la notte.
Lucky lecca il mio viso nell'intento di risvegliarmi.
Mi metto a sadere. Madido di sudore, tremo come una foglia. Le lacrime, il loro sapore salato sulla lingua. Stringo forte quel cucciolo, piango sul suo corpo. Tenendolo stretto come un'ancora di salvezza.
Sto impazzendo... Impazzirò.

ROBERTO incasinatamente ioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora