Capitolo 5 : Perdere il controllo.

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Perdere il controllo era la mia fobia più grande, la riconoscevo, la sentivo vivere dentro di me. Perché quando perdi il controllo, perdi anche la scelta di decidere per te stessa, perdi la possibilità di agire di tua spontanea volontà, perdi un tuo diritto. E quando inizi, sai che non ci sarà mai una via di ritorno, sai che quello sarà il primo di una lunga serie. Perché hai perso il controllo, e presto perderai qualcosa di ancora più grande, come la libertà di parola, la libertà di agire per te stessa, fino a perdere la tua libertà e il tuo diritto di essere chiamata "persona".

E cadere nel vuoto, cadere come stava succedendo in quel momento, era l'esatta definizione di perdere il controllo. Forse fu quella considerazione che mi spinse ad urlare a squarciagola, urlare fino a sentire i polmoni bruciare. Fino a che il magone strinse, rendendo difficile persino un'azione così basilare come respirare.

L'impatto con il terreno arrivò presto, e fu brusco e doloroso come mi sarei aspettata. Gemetti e risucchiai l'aria tra i denti, accogliendo il dolore che si espanse per tutto il corpo. Strizzai gli occhi, mentre il nodo alla gola cominciò ad allentarsi, al contrario del petto che ancora si alzava ed abbassava ad una velocità innaturale.

Piantai i gomiti contro il pavimento e mi alzai lentamente in piedi, osservando il luogo circostante. Il suono delle onde del mare mi inondò i sensi, mentre un tocco talmente leggero come quello di una piuma mi sfiorò la spina dorsale.

Abbassai lo sguardo sulle mie braccia, passando le dita su una linea frastagliata, più chiara rispetto al resto della pelle, una cicatrice che percorreva tutta la lunghezza del mio braccio.
Le dita mi tremarono, mentre il mare mi cullò fino a portarmi lontano...


<<Un mostro! Non è altro che un mostro! Hai sentito ragazzina? Sei uno schifoso sgorbio!>> La donna, colei che avrei dovuto chiamare "madre", se ne stava davanti a me, la faccia a pochi centimetri dalla mia, urlando una dozzina di insulti.

Io la guardavo, la guardavo ma non vedevo nulla, ormai non più toccata dalle sue parole amare, quella era la quotidianità. Spesso la donna tornava a casa dal lavoro insoddisfatta, consapevole dei debiti accumulati e di come lo stipendio non bastasse per ripagarli tutti.

Un bruciore intenso mi si propagò per tutta la guancia e l'impatto con la mano della donna fu talmente forte da farmi rivoltare la testa di lato. Mi morsi il labbro con forza, non curante di lacerarne la carne.

<<Reagisci cazzo!>>

La mia vista cominciò ad annebbiarsi, ero consapevole che presto le lacrime avrebbero cominciato a rigarmi il viso, ma non volevo darle la soddisfazione di vedermi piangere, perciò spalancai gli occhi e le ricacciai indietro.

Ciò che feci invece, fu sostenere il suo sguardo carico di odio, ricambiandolo con uno di sfida, un invito a riprovare, un invito a farmi ancora più male.

La donna lo accolse con un sorriso perverso.

<<Ne vuoi ancora? Una strega che si nutre del dolore che prova, ma lo vedi che cazzo di sgorbio che sei!>> disse e le sue mani furono sulle mie spalle magre, le sue dita si conficcarono nella mia carne e presto persi il controllo delle mie gambe.

Il muro dall'altra parte della stanza fu pronto ad accogliere il mio corpo, qualcosa di fragile si ruppe sotto la mia schiena e i cocci di vetro si infilarono in profondità nella mia carne. Un bruciore insopportabile accompagnò il liquido caldo color cremisi, che colò dalla pelle lacerata del mio avambraccio.

Rimasi inanime sul terreno, cercando la forza di alzarmi, determinata a non darle la soddisfazione di vedermi cadere...


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