Capitolo Uno.

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Le persone sentono spesso il bisogno di cambiare aria, di allontanarsi da quel che considerano tossico o doloroso.
Viaggiano in cerca di una nuova vita, di un nuovo posto da chiamare casa.
Desiderano luoghi che siano in grado di alleggerire il cuore ormai pesante, di farle sentire meglio ed al sicuro.
Sognano di incontrare persone che possano aiutarle ad orientarsi, che le aiutino ad integrarsi e che non le lascino sole, in un mondo a loro sconosciuto.

Ed è quel che sogno anch'io.

Cammino per l'aeroporto di San Diego e trascino con me un'enorme valigia blu. Al suo interno c'è solo lo stretto necessario: una parte dei miei libri, dei vestiti e qualche paio di scarpe.
Il viaggio è stato lungo ed estenuante, il fuso orario a cui non sono abituata non aiuta per niente eppure mi ritrovo a seguire mio fratello in giro per questi corridoi grigi e pieni di persone, alla ricerca di uno Starbucks in cui comprare qualcosa da mangiare.

La voglia di lamentarmi è alta, la stanchezza mi assale e vorrei solo andare via per poter dormire su un materasso vero e proprio: credevo che i sedili in business class fossero più comodi ma a quanto pare mi sbagliavo. Quasi apro bocca per chiedere a mio fratello di cambiare rotta, quando il mio stomaco brontola per la fame e quindi taccio.
Dopo minuti all'apparenza interminabili l'insegna del negozio appare nel mio campo visivo, ma il mio accompagnatore è già impegnato a chiedere informazioni alle persone di passaggio.
Temo il peggio e, come mio solito, faccio finta di non conoscerlo.

« Mi scusi, sa per caso dove.. » Utilizza un inglese grossolano, non è mai stato ferrato con le lingue ma almeno ci prova. Il ragazzo a cui si è rivolto continua a camminare e neanche si volta a guardarlo. Vedo le sua labbra schiudersi leggermente e le sue sopracciglia aggrottarsi in un'espressione offesa. « Simpatico come una spina in culo. » Esordisce in francese, riprendendo a camminare. Fatico a stargli dietro e mi ritrovo a maledire quelle sue gambe lunghe.

« Mathias, Starbucks è qui. Ma ci vedi o no? » La risposta che segue è proprio quella che mi aspettavo e per poco non inizio a ridere mentre ci avviamo all'interno.

« È che la fame mi offusca la vista. »

Usciamo dal bar almeno una mezz'ora più tardi, con le pance piene ed un sacchetto contenente tre pain au chocolate, in modo da poterne offrire uno anche alla nostra famiglia ospitante.
L'odore che ne proviene mi fa pensare ad Annecy, alle mattine in cui mangiavamo i dolci della mamma per colazione o a quando li preparava per le intense sessioni di studio. Quanto vorrei poter vivere bene questi ricordi.
Ma come posso sorridere al pensiero di un bel momento se ora ne sto vivendo uno brutto? È complicato, non ci riesco.

« A cosa pensi? » mi domanda Mathias, circondandomi le spalle con un braccio mentre ci dirigiamo verso l'uscita.
Mi chiedo sempre come riesca ad accorgersi così velocemente dei miei momenti no, poi rifletto sulla nostra infanzia insieme e giungo velocemente alle mie conclusioni.
« Ad Annecy, come sempre. » un sospiro abbandona le mie labbra mentre, approfittando della nostra vicinanza, mi accoccolo contro di lui. La sua felpa azzurra è impregnata di profumo e mi fa rilassare istintivamente.

« Lo so, manca anche a me, davvero tanto. Ho pensato per tutto il viaggio che non sarei durato un solo giorno in questo posto, ma devo provarci. » Mi lascia un bacio fra i capelli ed io chiudo gli occhi alla sensazione.
« Dobbiamo provarci, perché meritiamo di essere felici. So che fin quando sarai con me tutto andrà bene e questo mi basta. »
Le sue parole mi fanno sorridere quasi senza che me ne accorga e non posso fare a meno di fermarmi nel bel mezzo del corridoio per stringerlo. La mia mano finisce sulla sua nuca ed inizio ad accarezzare i suoi capelli color miele.

« Ti voglio bene, saremo sempre io e te. Tu questo lo sai. » Le frasi escono dalle mie labbra quasi come un sussurro, mentre mi allontano di qualche millimetro ed accenno un sorriso, poi riprendiamo a camminare.

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