Dove sei tu, quella, è casa -Emily Dickinson
Due dita erano premute contro le mie tempie, mentre il mio respiro pesante riempiva l'interno di quella stanza. Ero circa al quarto caffè ma ben sapevo che, a causa del troppo lavoro e della stanchezza accumulata, ne avrei presi decisamente altri. Quella giornata si era prospettata frenetica sin dal primo passo negli studi Elios quando, nonostante fossero appena le otto del mattino, ero stata assalita già da due dei miei collaboratori che aspettavano le mie firme o le mie decisioni, in modo da ultimate le modifiche di questo o di quel programma. Ero riuscita a trascinarmi verso il mio studio, stanca per le poche ore di sonno e già affaticata da quell'ennesima giornata di lavoro. Avrei voluto scappare, rifugiarmi nel mio chalet in montagna e perdermi tra le pagine di un libro, ma sapevo che quello che avevo scelto, o forse era meglio dire ciò che mi era capitato, di fare nella vita comportava delle responsabilità. E se dalla fama deriva tanto piacere, ne derivano altrettante responsabilità. Non avevo certo intenzione di deludere il mio pubblico per il capriccio momentaneo, derivante perlopiù dalla stanchezza. Così, anche se contro voglia, mi ero rimessa a lavoro sbrigando tutte le pratiche necessarie, stilando scalette o contattando eventuali ospiti. Mi persi nella mia routine, senza accorgermi delle ore che scorrevano veloci e del tempo che sembrava sfuggirmi dalle mani, quasi fosse acqua che tentavo in vano di stringere nella morsa delle mie dita. Un lieve bussare alla porta attirò la mia attenzione, concedendo ai miei neuroni un frangete di pausa.
"Avanti" dissi a gran voce e con tono lievemente scocciato. Non avrei retto alcun tipo di problema o intoppo, e se dall'altra parte di quella barriera ci fosse stato uno dei miei collaboratori, avrei potuto tranquillamente mandarlo via a calci. Sapevano tutti bene quanto io fossi stanca, e che qualsiasi fosse stato il problema avrebbero dovuto risolverselo da soli.
La maniglia si abbassò lentamente, mentre il tempo pareva essersi rallentano. La porta bianca in legno si aprì rivelando, dall'altra parte, una figura inaspettata. Un sorriso si fece largo sul mio volto, e i battiti del mio cuore si susseguivano con cotanta frenesia che a me parve di non sentirli più. Il suo corpo sinuoso si fece spazio in quella grande stanza, i capelli che ondeggiavano ad ogni movimento e il ticchettio dei tacchi che scandiva ogni suo passo. Mi persi a guardare la sua figura, studiando i suoi movimenti.
"Mery, buongiorno" mi disse lei con voce allegra e tuonante, mentre si avvicinava alla sedia dietro alla scrivania, sulla quale ero stanziata io da tempo immemore. Si abbassò su di me cingendomi il collo con le mani, per poi lasciarmi un dolce bacio sulla guancia. Il mio cuore presenza battere ancora più furiosamente, e me sembrò avesse fatto una capriola.
"Come stai Sabri?" le chiesi io con voce tremante, mentre cercavo con tutte le mie forze di riacquistare un pò di integrità. Non volevo che i miei sentimenti trasparissero, e sopratutto non volevo che lei lo notasse, per cui cercavo sempre di contenermi e di non lasciare che la parte dolce del mio carattere uscisse fuori. Tante volte mi ero abbandonata all'immaginazione, sognando tutto ciò che avremmo potuto fare insieme, o i piccoli regali che le avrei fatto, se mai fosse stata mai. Temevo quel mio fantasticare, perchè il ritorno alla realtà mi colpiva come un pungo dritto in faccia, e mi lacerava come un coltello premuto nella carne.
"Bene bene, me mancavi e così te so venuta na trovà" mi ripose lei, mentre prendeva posto sul divano in pelle rossa che donava alla grande stanza un tocco di colore. Mi persi a guardare le sue gambe, lasciate scoperte per metà dal vestito che le si era leggermente alzato. Osservai l'intera figura che se ne stava appoggiata contro lo schienale, le gambe accavallate, le braccia distese e le testa riversa all'indietro. Venni nuovamente catturata dai miei sogni, e mi immaginai come sarebbe stato prenderla su quel divano, baciare le sue labbra carnose e lambire ogni millimetro della sua pelle.
"Ma che te sei ncantata Marì" mi chiese con fare ironico la mora, accennò un tiepido sorriso mentre io mi alzai dalla mia sedia per muovermi verso di lei. Quella, se pur breve, distanza mi stava distruggendo e sentivo bisogno di annullare lo spazio che divideva i nostri corpi. Mi lanciai sgraziatamente sul divano, causandole un piccolo urlato e guadagnandomi un piccolo pugno su una spalla.
"Aia" gemetti io, massaggiandomi il punto dolente. Mi girai lesta verso la donna al mio fianco allungando le meni verso i suoi fianchi e iniziando un movimento veloce delle mie dita. Cominciai a solleticarle la pelle, facendo si che forti risate uscissero dalle sue labbra.
"Marì ti prego, basta Marì" disse lei, la voce tremolante e spesso interrotta da risate. Le mie dita seguitarono in quei movimenti, mentre lei si dimenava scomposta e cercava di agguantare i miei polsi, ma io ero più forte e scaltra. Rallentai le mie azioni, perdendomi nella figura di Sabrina. I suoi capelli erano scompigliati, il vestito leggermente alzato da un lato mostrava le sue gambe toniche ed un sorriso si stagliava sul suo volto illuminando l'intera stanza. I miei occhi rimasero puntati su di lei e, non volendomi perdere nulla di quegli attimi, nemmeno le mie ciglia battevano tra loro. La vedi rimettersi insieme e tentare di sistemarsi i capelli, mentre un broncio diverto compariva sul suo volto, in sostituzione al sorriso che fino a quel momento aveva dominato le sue espressioni.
"Mi ha fatto piacere che tu sia venuta, non ci vedevamo da un po'" le dissi io, cercando di distrarmi dalla sua presenza. Ma tutto sembrava attirami verso di lei, come una calamita o come il piacere che proveniva nel compiere qualcosa di proibito. E lei era il mio desiderio non espresso, in cui però continuavo a sperare. Lei che faceva sempre parte dei miei sogni, e si sa che i sogni sono manifestazioni inconsce. Quanto avrei voluto baciarla, assaporare quelle dolci labbra, sentire il suo respiro infrangersi come onde del mare sul mio viso.
"Ti va di andare a cena sta sera, o devi lavorà" mi chiese lei, distraendomi dal turbine delle mie emozioni che, ogni volta in cui lei si trovava vicino a me, prendevano il sopravvento. Non riuscivo mai a controllarmi, quando Sabrina mi stava accanto, lasciando alla mia libido il potere di trasformarmi in una marionetta e lei nel giostraio che conduceva i fili.
"Certo Sabri, sbrigo tutto ora e sta sera sono tua" le risposi ammiccante io, mentre incrociavo i nostri sguardi. Mi persi nei suoi occhi neri come la notte più buia, mentre le pagliuzze dorate rappresentavano le stelle che mi indicavano la via. Quegli occhi tanto dolci quanto malinconici, che mi attiravano in un tunnel senza via d'uscita.
"Allora ti lascio al tuo amato lavoro, me vieni a prende per le otto" continuò lei, alzandosi lesta dal divano e dirigendosi verso la porta. La raggiunsi chiudendo il suo corpo in un abbraccio, mentre le lasciai un piccolo bacio alla base del collo. Mi persi nel calore del suo corpo, del suo profumo che invadeva le mie narici e delle sue forme sinuose sotto il tocco delle mie mani. Mi staccai piano separando i nostri corpi, mentre il mio cuore riprendeva a battere furiosamente a causa della sua presenza e della sua eccessiva vicinanza. Separarmi dalla sua figura sinuosa fu come separarmi dalla mia metà androgina, mostruosamente doloroso.
"Ci vediamo dopo Marì" mi sussurrò piano, alzandosi sulle punto per lasciarmi un leggero bacio sulla guancia. Si allungò poi verso la maniglia della porta, abbassandola lentamente come se non volesse rompere la pace di quella stanza.
"Sabri" la chiamai lesta e tuonante, mettendo in quelle cinque lettere tutto il coraggio che avevo e che mai avrei riavuto. Lei si girò facendo scattare il suo collo, e a me parve di sentire la sua Atlante* ruotare.
"Ci vediamo dopo" continuai, fermando il flusso dei miei pensieri. Lei accennò un sorriso, mentre le sue gambe lunghe la conducevano all'esterno di quella stanza e, fortunatamente, più lontano possibile da me. Sopratutto dopo che le avevo quasi detto tutto, lasciando che quella volta le emozioni facessero uscire allo scoperto il grande sentimento che nutrivo nei suoi confronti.
*Atlante: la prima vertebra cervicale (C1) ovvero colei che sorregge il nostro cranio. Prende il nome dal titano Atlante in quanto si credeva che fosse lui a sorreggere il mondo sulle proprie spalle, proprio come tale vertebra sorregge il nostro cranio.
Holaaa people, spero che questo capitolo vi piaccia e che sia di vostro gradimento. Come già accennato cercherò di essere il più presente possibile, e di essere attiva su entrambe le storie. Fatemi sapere il vostro parere, a presto Lady <333
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Amanti e Regine
FanfictionFRUTTO DELLA MIA FANTASIA Due Regine, una delle televisione e una del cinema, amiche da tempo ormai immemore. Legate profondamente l'una all'altra da un filo rosso e da un sentimento destinato a rimanere nascosto, almeno agli occhi degli altri.