Capitolo 13

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Uoh-oh-oh, stupido che non ti ho detto subito i difetti

Gli incubi erano solo segreti non detti  -Nightmers. PTN e Bresh


Il cuore mi batteva all'impazzata mentre il sudore mi bagnava la fronte e mi inumidiva i capelli, che parevano attaccati alla mia pelle come colla. Le immagini del nostro distacco mi tormentavano giorno e notte e, nonostante io tentassi di ignorare gli eventi proseguendo con la mia routine di vita, questi mi raggiungevano nei sogni. 

Era passata una settimana dall'ultima volta che l'avevo vista, e tanti erano i messaggi mai inviati che custodivo gelosamente. Avevo passato le ultime notti a guardare le nostre foto, sia quelle fatte durante la nostra amicizia sia quelle nei pochi momenti in cui eravamo una coppia. Mi perdevo spesso nei lineamenti del suo volto, e tentavo di accarezzarli attraverso i Led, rimanendo spesso delusa al contatto con con il vetro freddo rispetto alla sua pelle calda. 

Una lacrima solcò il mio viso, mentre provavo, anche se senza successo, a ricacciare quei ricordi nei meandri della mia mente. Li chiudevo in un baule, e li lasciavo soli sperando che questi non riuscissero a liberarsi, per infestare con la loro presenza la mia anima. 

Decisi di alzarmi dal letto, spinta da un piccolo raggio di sole che, facendo capolino dalle pesanti tende di quella stanza, mi comunicava l'inizio di quella giornata. I miei passi pesanti risuonavano con eco tra i corridoio vuoti, mentre io mi stropicciavo distrattamente gli occhi raggiungendo lentamente la cucina. 

L'odore del caffè, preparato accuratamente ogni mattina da Miranda, mi invase le narici ed io chiusi per un secondo gli occhi, perdendomi in quel dolce momento di quiete. La mia vita era sempre stata un'andirivieni di emozioni, permettendomi ancora di più di godermi questi, seppur brevi, momenti di calma. Ed oggi, data la pausa dalle registrazioni, sarebbe stato uno di quei giorni dedicati completamente alla quiete, che ultimamente mi sembrava di aver perso. 

Volevo distrarmi dai miei soliti pensieri, ma la suoneria del mio cellulare mi ripotò improvvisamente alla realtà. Corsi velocemente nella mia camera da letto e arrancai nel buio per raggiungere il mio comodino, lo schermo di quel dispositivo era l'unica fonte di luce presente nella stanza, almeno che non si contava un singolo raggio di luce che filtrava dalle tende. 

Lessi rapidamente il nome sullo schermo, premendo poi il tasto verde per accettare la chiamata. Era Mara che mi chiedeva, come consuetudine periodica, se fossi libera così da bere insieme un caffè e aggiornarci, rispettivamente, sulle nostre vite. Le diedi appuntamento per il pomeriggio stesso e, mentre tornavo alle mie faccende interrotte, pensai che quella telefonata fosse stata una benedizione, perché chi meglio della sua migliore amica poteva aiutarmi a capire come procedere con la mora. 

La mia mattinata scorse tranquilla, ed io riuscì ad allontanare abbastanza i miei pensieri da concedermi qualche ora di lettura, cullata solamente dallo squittio degli uccellini. La mia pace si interruppe però all'ora di pranzo, ed io venni disturbata da mio figlio che reclamava la mia presenza. 

Avevamo quest'usanza, io e Gabriele, sancita sopratutto dalla morte di Maurizio. Almeno una volta al giorno, salvo periodi di sovraffollamento lavorativo, ci concedevamo un'ora tutta per noi, perdendoci spesso in trattazioni filosofiche o in discussioni sui sentimenti. Nonostante fosse mio figlio, e tralasciando la sua giovane età, quel ragazzo sapeva sempre come farmi tirare fuori le mie emozioni, liberandomi così da pensanti macigni, che spesso mi illudevo essere in grado di trascinare da sola. 

Dopo pranzo raccolsi distrattamente un libro dalla grande libreria in mogano che sormontava il salotto, e mi diressi nuovamente in camera mia, spostando questa volta le grandi e pesanti gente, per permettere alla luce di entrare. 

Mi persi talmente tanto  nella mia lettura che quasi presi un infarto all'udire improvvisamente il suono del citofono, e sola allora mi accorsi di quanto tempo fosse trascorso. Nel tentare di dimenticarmi di lei, avevo lasciato che il tempo mi sfuggisse dalle mani e mollando la presa alla mia ossessione dei controllo. Ero maniacale io, su queste cose, e spesso avevo l'etichetta dell'esagerata, ma in realtà era la mia paura di apparire sbagliata o non abbastanza agli occhi di altri, a spingermi a quell'ossessiva compulsione nel controllare, sistemare o revisionare ogni cosa. 

Mi diressi nuovamente di la, chiudendo con un tonfo la mia camera da letto dove il libro, aperto e girato a testa in giù, giaceva scompostamente sulle lenzuola sfatte. La voce di Mara tuonò improvvisamente nel corridoio, ed il suo fare caloroso mi fece immediatamente sentire a casa, mentre la bionda mi stringeva in un materno abbraccio. 

Mara era stata una bella scoperta, certo non bella come Sabrina, ma averla nella mia vita aumentava i miei livelli di serotonina, che come si sa è l'ormone dell'amore. Ci sedemmo entrambe sul divano e, mentre attendevamo che Miranda servisse ad entrambe un caffè, lei prese la parola ed io in quel momento capì che era giunto il momento di vuotare il sacco, togliere la maschera o calare il sipario. Mara mi conosceva troppo bene, con lei non vi erano bugie o sotterfugi, nulla avrebbe retto al suo sguardo scrutatore o alle sue domande dirette e pungenti, sempre in grado di scovare ogni minima falla. Era una macchina della verità umana, ed io temevo di mandare all'aria tutto il lavoro di quella giornata nel tentare di dimenticarla, ma poi mi accorsi che in realtà non ci avevo nemmeno provato ma ero solo riuscita ad ingannare la mia mente. 

Lei viva nelle mie parole, nei miei gesti. Abitava la mia mente, che senza lei pareva sempre vuota e fredda come una stanza senza finestre. Lei era il mio raggio di sole e, si sa, non si può fare a meno del sole. 

"Quindi che mi dovevi dire Maria?" mi chiese la bionda, che ora se ne stava seduta compostamente sul divano, la schiena appena appoggiata ad un cuscino e le mani ad accarezzare distrattamente le cosce. 

"Sono innamorata di Sabrina, ma ho fatto una cazzata" le risposi di getto, non volendo controllare il modo in cui dirlo per timore che quelle parole, forti ma che portavano con se un infinita leggerezza, mi si bloccassero in gola. Mara spalanco gli occhi, ed io sentì di essermi tolta un peso che ormai mi schiacciava il cuore. 


Scusate se ci ho messo tanto, ma la mia salute psicologica non mi ha consentito di terminare in fretta questo capitolo. Tenterò con tutta me stessa di aggiornare il più in fretta possibile, grazie per la comprensione. Vi amo, Lady<33

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