Capitolo 8- Simone

322 15 6
                                    

TW: Attacchi di Panico


Ci svegliamo presto, perchè Mimmo ha il turno di mattina al bar e nel pomeriggio ha diverse lezioni, io sono occupato con le lezioni sia la mattina che il pomeriggio, ma decidiamo comunque di prenderci un'ora per pranzare insieme, appena Mimmo uscirà  da lavoro ci vedremi alla sede di ecomia.
"Ne hai già perse troppe di lezioni Simò" mi rimprovera Mimmo; e penso che il mondo si sia capovolto perchè una volta ero io quello ligio allo studio.
Ora per Mimmo il poter studiare, essersi preso il diploma è un riscatto personale verso la vita difficile che ha vissuto prima e durante il carcere.
Un moto di orgoglio che provai solo quando decise di collaborare con la polizia mi riempie lo sterno, e subito una sensazione di disagio si sostituisce ad essa; se non fosse stato per me probabilmente Mimmo non avrebbe collaborato con la polizia e quelli non ci avrebbero divisi.
I tre anni più brutti della mia vita non ci sarebbero stati, saremmo stati felici, lui sarebbe uscito dal carcere, magari per buona condotta, sarebbe rimasto a Roma, ed io e mio padre, che è un grande impiccione ma ha un cuore d'oro, lo avremmo aiutato a diplomarsi.
Però poi penso che ora è felice,ci siamo ritrovati (grazie sempre a quell'impiccione di mio padre) e lui ha una nuova identità, un'identità che non ha precedenti penali, può essere chi vuole. E allora quella sofferenza che ho provato almeno è servita a Mimmo per avere una vita migliore.
Ci diamo un bacio a fior di labbra e ci promettiamo di vederci a pranzo, corro verso casa, mi cambio in tutta fretta e mi dirigo all'università; non perchè io sia in ritardo ma perchè per qualche strana ragione il mio cervello mi dice che prima arrivo e prima arriverà anche ora di pranzo, e lo so, non ha senso, però come si dice? Al cuore non si comanda? A quanto pare pure il mio cervello non ha senso.


Faccio un po' fatica a concentrami sulle lezioni, in classe saremo una trentina, che è comunque molto di più di quanti eravamo nella mia classe di liceo, ci sono alcuni gruppetti, persone che si conoscono o che hanno magari fatto conoscenza durante i miei gorni di assenza.
Io invece non conosco nessuno, e il panico inizia a farsi strada in me.
Non ho mai avuto problemi a fare amicizia, non sono mai stato un gran chiacchierone, però alla fine in gruppo ci stavo bene.
Però da quando mio padre ha rischiato la vita e ho perso Mimmo i miei livelli di stress e di ansia sono saliti alle stelle e a volte non li riesco a tenere a bada.
Ne parlai con lo psicologo qualche anno fa. Un giorno che mio padre mi aveva sorpreso durante uno degli attacchi di panico più forti che io abbia mai avuto; il giorno del compleanno di Mimmo, mi aveva trovato a terra rannicchiato in cerca d'aria, tremavo e la vista era appannata, sentivo in lontananza la sua voce e potevo percepire che mi aveva abbracciato, quasi come quella volta che mi era venuto a prendere davanti al locale quando mi ero ubriacato. "Va tutto bene, papà non ti lascia, papà sta qui con te. Vedrai che andrà tutto bene; fai respiri profondi" mi disse.
Fu anche uno degli attacchi di panico più lunghi mai avuti; qualche settimana dopo mio padre mi confessò in lacrime che si era spaventato molto, che capiva il mio dolore ma che non riusciva più a vedermi così. Alla fine mi convinsi ad andare da uno psicologo, un collega della sua amica medico, mi disse.

Dopo quello che aveva passato mio padre con l'operazione e la riabilitazione non volevo farlo preoccupare ancora. Decisi di andare con le aspettative ai minimi storici.
Lo studio dello psicologo era come quelli che si vedono nei film, due poltrone un tavolino e una scrivania e cliché dei cliché aveva anche un divano in pelle scura in mezzo alla stanza.
Mi immaginai un vecchio signore con i baffi bianchi, quindi mi sorpresi di vedere un giovane uomo sulla trenitina. Si presentò come il dottor Di Salvo, e inizio a farmi domande per capire un po' la situazione. All'inizio non fu facile aprirsi, mi sentivo a disagio a parlare con uno sconosciuto, soprattutto del rapporto con mio padre e di Mimmo, e parlando di Mimmo avrei dovuto tirare in ballo la mia omosessualità. Ero dichiarato già da quasi due anni, ma ancora provavo un brivido di paura a parlare del mio orientamento sessuale, odiavo dover fare constantemente coming out, complice anche l'aggressione omofoba da parte di Ernesto e compagnia, anche quella in un certo modo mi faceva pensare a Mimmo.
Le prime sedute furono io che parlavo poco e a monosillabi. Ma con il tempo le cose migliorarono. Non posso dire che andare dallo psicologo mi abbia cambiato la vita, perchè nonostante con tante cose mi abbia aiutato, come per lo snocciolare il rapporto con mio padre, con Manuel e la morte di Jacopo,il dottor di Salvo non avrebbe mai potuto farmi stare con Mimmo, farmelo rincontrare e quello di dolore non lo avrei potuto superare; perchè se Mimmo ora si trovava in una città sconosciuta da solo senza famiglia ne amici ne senza il suo adorato professore, era solo colpa mia.

Inizio a sentirmi l'aria mancare, e la vista ad appannarsi, non volendo che nessuno mi vedesse in quel modo, raccatto in fretta le mie cose e esco in fretta e furia dalla classe.
Non riesco respirare e sento chiaramente i primi sintomi dell'insorgenza dell'ennesimo attacco di panico. Sento un bip proveniente dal cellulare che mi distrai temporaneamente dall'ondata di panico, guardao il cellulare, è un messaggio di Mimmo, Michele mi corressi, che mi chiede come erano le lezioni. Visualizzo ma non riesco a rispondere, intento a cercare di controllare il panico. Forse vedendo che avevo visualizzato e non risposto mi chiama, una chiamata in entrata a cui risposi al primo squillo."Simo, ya come va la lezione?" mi chiede, cerco di rispondere ma mi esce solo un verso strozzato. La testa mi inizio a girare e sento il bisogno di sedermi, mi siedo a terra vicino ai lavandini del bagno degli uomini, per fortuna vuoti."Simo che succede", sento la sua voce preoccupata. "Mì" dico con un filo di voce, vorrei digli che va tutto bene, cercare di apparire forte, ma non ce la faccio."Simo che hai?" mi chiede in preda al panico, non ricevendo una mia risposta mi dice "Dimmi dove sei arrivo subito".
"No aspetta, rimani in linea, parlami, tra un po' passa" gli dico, perchè non voglio fargli lasciare il lavoro per venire da me come se fossi in bambino in difficoltà.
"Di che?" chiede perplesso. "Di qualsiasi cosa" dico in un verso strozzato, la fame d'aria che si fa sempre più prepotente.

Inizia a parlarmi dei prossimi film che vorrebbe vedessimo insieme e del nuovo libro che sta leggendo. Pian piano ascoltando le sue parole e catturato dalla sua voce melodica inizio a sentirmi meglio.

Il dolore al petto passa come l'affanno, pian piano mi rimane solo un forte mal di gola. "Mimì, ora sto bene. Scusa se ti ho fatto preoccupare" dico mortificato.
"Ma cosa è successo Simò?" mi chiede e sento la preoccupazione fare nuovamente capolino nella sua voce.
"Niente Mì, non preoccuparti ero solo un po' agitato per le lezioni" minimizzo."Simò" mi dice implorante, sperando che io mi spieghi, ma non voglio sobbarcarlo dei miei problemi.
Sento qualcuno che lo chiama e prendo la palla al balzo, lo convinco a tornare a lavoro "tanto tra qualche ora ci vediamo" gli dico sperando che questo possa bastargli. Alla fine si arrende mi saluta e io riattacco.Mi alzo lentamente dal pavimento, sento le gambe leggermente instabili ma piano piano raggiugo l'uscita del bagno.
Come uno zombie mi dirigo verso il bar dell'università, e decido di prendermi qualcosa di caldo, non ho intenzione di tornare a lezione, vorrei tornare a casa ma voglio anche vedere Mimmo e non voglio farlo preoccupare quindi decido di aspettarlo in facoltà.
Mi serve da bere una ragazza bassina e minuta dai capelli cobalto, gli occhiali verde e evidenziatore, e gli occhi di un intenso color verde mare.

Lei mi guarda e mi sorride, appoggia la tisana sul tavolo e mi chiede se voglio qualcosa da mangiare ma io declino gentilmente perchè ho lo stomaco completamente chiuso, mi sento come se ci avessero messo una gettata di cemento nelle viscere.
Sono le dieci e mancano ancora quattro ore al nostro incontro, le ore sembrano andare a rallentatore, ho iniziato a leggere i primi libri di testo, cercando di distrami, e di riprendermi così da non fare preoccupare troppo Mimmo, delle cose le capisco al volo ma ci sono altri paragrafi, dove ci vuole un po' più di concentrazione, per i quali faccio fatica seguire.

Suona il telefono lo prendo e vedo che è Mimo, sono solo le 10.30 ed è stano che mi chiami, dovrebbe essere a lavoro. Rispondo e lui senza neanche salutare mi dice :"Simò dove sei?" rimango sorpreso."All'università" rispondo " Si ma dove?" mi chiede " perchè io sto qua ma ci sono un sacco di edifici sembra un labirinto"."Come stai qua?" dico stupito. "Oh Simò ne parliamo faccia a faccia adesso dimmi aro si'" dice frettoloso.
Ci incontriamo su una panchina vicino ad uno spiazzo a metà del campus, lui mi vede e mi corre incontro, sembra voglia abbracciarmi ma poi, forse a causa degli studenti che si stanno riversando fuori dalle aule si trattiene, mi appoggia ugualmente il palmo della mano sul petto e con un'espressione preoccupata mi chiede come sto."Mi che ci fai qua?" "Lascia sta che ci fai qua? Ti senti male? Ti accompagno a casa?"
"Mi non ci dovevi venire qua stavi a lavoro" rispondo triste.
"Nu mma mporta del lavoro mo, ero preoccupato" e gli esce un po' di accento come sempre quando è agitato. "sta tranquillo, ho preso un permesso" continua "ora dimmi come stai" mi incalza.
"Mì sto bene non preoccuparti, mi sono solo agitato un po' ma niente di grave, non serviva che corressi qui".
"Ero preoccupato" dice e abbassa lo sguardo, forse ferito dalle mie parole. E mi sento un grande stronzo, perchè non era quello che intendevo,la sua mano è ancora vicino al mio petto,io sollevo una delle mie e gliela stringo, la sua è gelata, ha sempre avuto le mani fredde lui.

Mimmo solleva lo sguardo. "Simò agg tenut paura" mi dice. "Scusa non volevo farti preoccupare" "Mi dici che hai?" chiede

"Non ho voglia di parlarne " rispondo a bassa voce distogliendo lo sguardo.
Il suo sguardo cambia da proccupato a determinato, mi prende il polso e mi trascina fuori dal cancello dell'università.Mi guarda e mi chiede se io voglia seguire altre lezioni oggi, scuoto la testa."Allora andiamo a casa mia" mi dice.

NOTE:
Grande premessa che premessa non è, il mio napoletano è pari a zero, ho fatto qualche ricerca su internet ma alla fine il mio umbro marchigiano  che si è probabilemente mischiato con il romano, mi sa che ha prevalso.

Avevo molti dubbi su questo capitolo e li ho tutt'ora che l'ho postato. Non volevo banalizzare o semplificare un argomento delicato come quello della salute mentale, volevo solo raccontare una parte di questa storia inserendo problematiche che mi appartengono in prima persona e che volevo rendere nel personaggio di Simone.
So benissimo che non basta la presenza di qualcuno per fermare un attacco di panico  e che a volte le storie con questi argomenti sono tute troppo romanticizzato, i distubi mentali in generale ai giorni d'oggi vengono spesso romanticizzati. Ma sono sicura che se Mimmo fosse stato presente sarebbe stato accanto a Simone e lo avrebbe accompagnato e aiutato perchè per una persona che non vive in prima persona questa cosa, l'unica cosa che si può fare è questa.

Inoltre se riesco ad avere una connessione stabile e un po' di tempo, ho intenzione di ricontrollare anche tutti i capitoli precedenti perchè rileggendoli mi sono accorta della presenza di errori e refusi che devono assolutamente essere corretti.
Se ci dovessero essere errori o appunti che volete fare, vi aspetto nei commenti =)


E siamo ancora quaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora