Capitolo 2-Simone

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La sveglia mi fece uscire da un bellissimo sogno, io e Mimmo sdraiati nel letto a parlare dopo la nostra prima e purtroppo unica volta.

Guardai l'ora, avrei iniziato le lezioni da lì a un'ora, mi feci velocemente la doccia e mi preparai per l'orientamento. Sarei dovuto passare alla sede centrale per prendere i fogli per l'ammissione e un piccolo test di inglese che non mi preoccupava per nulla.

Maglietta camicia e felpa ed ero pronto ad uscire. Da casa mia alla sede centrale ci impiegai 40 minuti, me la presi comoda e mi persi anche qualche volta, entrai di corsa in sede e presi i moduli.

L'esame d'inglese fu una passeggiata ma quando uscì avevo decisamente bisogno di un caffè. Proprio accanto alla sede centrale appena fuori dalla porta vidi un bar e incuriosito entrai.

C'era un ragazzo di spalle che armeggiava con la macchinetta del caffè, i capelli biondo cenere lunghi e una camicia nera a fasciare le spalle.
Ebbi un leggero fremito, erano anni che non mi capitava e ne rimasi sorpreso.
Mi avvicino al bancone e intanto che il ragazzo finisse di preparare i caffè mi guardai intorno.
"Posso aiutarla?" Mi disse una voce familiare ma leggermente più profonda di quella che ricordavo.
Alzai lo sguardo e vidi lo shock nei suoi occhi, aveva in mano un sacchetto con il caffè in chicchi che gli cadde dalle mani e sparse i chicchi per tutta la cucina.
Io ebbi la stessa reazione, il dolore al petto che solitamente mi accompagnava sordo da quasi te anni si intensificò, una fitta allo stomaco mi fece piegare impercettibilmente in avanti.
"Mi.." feci per dire ma lui si riprese dallo shock e disse: "Posso aiutarla in qualche modo?"

"Non mi aveva riconosciuto? Ma dal suo sguardo di poco fa pensavo di sì, forse ero cresciuto un po' ma ero rimasto quasi uguale.
Lui invece era cambiato, i capelli più lunghi e più chiari. Indossava degli occhiali neri che incorniciato quei suoi bellissimi occhi caleidoscopio. Gli occhi di Mimmo e non avevo dubbi fosse lui.
Abbassai lo sguardo sulla targhetta che portava appuntata alla camicia "Michele".

Lui mi guardava con un sorriso accennato, forse la somiglianza era tanta ed io mi stavo solo illudendo. Sapevo che aveva cambiato nome ma non sapevo quale fosse.

"Mi scusi" dissi e uscii di fretta dal locale come se dentro ci fosse la peste.
"Simone" sentì chiamarmi dietro di me, allora era lui "non andartene" disse.
Una lacrima scese lenta sulla guancia, il cuore mi scoppiava nel petto, era lui era qui, avrei potuto sfiorarlo solo allungando una mano era più di quanto avessi sperato.

"Mi.." feci per dire.
"Michele" mi rispose e si guardò attorno "Simone tra un ora stacco, mi aspetti"
E mi venne naturale dire "sempre"

Entrai e cercando di calmarmi ordinai un caffè e un cornetto al pistacchio, su consiglio di Mimmo, no ..di Michele.
Ero nervoso da morire, non lo ero stato più da tanto tempo, però era un nervosismo buono. Negli anni precedenti la mia vita era stata scandita da senso di vuoto ed estraneazione.
Mi arrivò un messaggio e aprì il telefono, mio padre che mi chiedeva come andasse la prima giornata in università.
Gli risposi "mi devi dire qualcosa?" perché ora la sua fissazione per mandarmi a Venezia acquisiva tutto un'altro senso.

Aspettando che mi risponda guardo attentamente il ragazzo al bar mi ricorda il Mimmo del liceo ma più grande, si è alzato di qualche centimetro è sempre estremamente magro e la camicia nera non fa altro che enfatizzare questa magrezza. I capelli sono molto più chiari di prima e molto più lunghi, adoravo il suo biondo cenere e nonostante il colore attuale non gli doni quanto quello originale lo trovo comunque bellissimo.
Gli occhiali hanno una montatura leggera, serve i clienti con eleganza, sorride e ogni tanto mi lancia qualche sguardo e il sorriso arriva fino agli occhi. Forse gli sono mancato anche io.

L'ora sembra un secolo non passa mai, e i dubbi mi assillano "cosa penserà di me" "ci tiene ancora anche dopo questi anni" "magari ha qualcuno al suo fianco".
Più lo guardo e più mi sento come se questi due anni non fossero passati, ma per lui sarà lo stesso?
Due anni sono tanti e magari io li ho passati a deprimersi e lui no. Infondo è finalmente libero, con me ha scoperto che gli piacciono anche gli uomini, si trova in una città universitaria le possibilità sono infinite.
Senti una presenza avvicinarsi.
Lui mi guarda con fare dolce e mi dice "ja Simo annamo" e lui che parlava in napoletano è una delle tante cose che mi sono mancate.
Sono rigido come un un tronco e teso come una corda di violino, il croissant che ho mangiato minaccia di non rimanere nello stomaco ma cerco di distrarmi, vomitare davanti a lui non mi sembra un buon modo per rivederci dopo quasi tre anni.
"Simò come stai? Ti vedo pallido" mi dice.
"Scusami è che non me l'aspettavo."
"Manco io Simò, manco io" mi dice.
"Mi sembra impossibile" confesso.
"Sono io, sono solo io"
Di getto lo abbracciò e poi imbarazzato mi scuso.
Andiamo in un bar in una piazza a circa dieci minuti da lì.
Vorrei chiedergli tante cose ma ho paura. In fondo si trova in protezione testimoni e non so quanto posso dire. Si scusa e si dirige in bagno e io ne approfitto per controllare il cellulare, mio padre mi ha risposto con "ti è piaciuta la sorpresa".
Mi sfugge una risata tra la felicità e l'isteria; allora c'è il suo zampino, penso, ma è tipico di mio padre, e non potrei essere più felice di così.
Dopo qualche minuto Mimmo torna. Mi fa vedere un pacchetto di sigarette e dice "Ti dispiace se fumo?" Faccio segno di diniego
"Te ne posso scoccare una" dico invece e penso che a liceo non l'ho mai visto fumare, un'altra cosa in cui è cambiato, appoggia le sue labbra sulla sigaretta e con le mani a coppa accende la sigaretta con l'accendino, rimango incantato dai suoi movimenti.
Lui mi guarda con i suoi occhi penetranti.
"Che cosa ti porta qui?" Mi chiede e per un attimo ho come la sensazione di essere di troppo.
" Ho iniziato la facoltà di economia oggi" e non gli dico che al momento dovrei essere in classe.
"Te cosa fai?"
"Lavoro al bar e frequento l'università."
Sono felice per lui che sta trovando la sua strada, mi parla della scelta della facoltà che gli sarebbe piaciuto prendere filosofia ma che qui a Venezia non c'era e ha quindi optato per arte.

Quando però provo a  fare riferimento alla sua vita passata mi blocca con una mano il polso, polso che ora mi va a fuoco, e poi dice "non qui" con fare serio.
Dopo una buona mezz'ora mi dice che ha lezione e che deve andare, mi sento completamente frastornato, tre anni di agonia e finisce tutto qui?
Probabilmente vedendo l'espressione sul mio volto, il suo viso si addolcisce, fa un sorriso si china sulla sua borsa e prende una penna, estrae un fazzoletto  e ci scrive il suo numero.
"Non posso scriverti il mio indirizzo di casa per ovvie ragioni ma se vogliamo parlare apertamente chiamami e ti dirò dove sono."

Rimango basito dalla sua freddezza, l'angoscia risale e mi attanaglia la gola, non voglio avere un attacco di panico davanti a lui, faccio dei respiri profondi cercando di scacciare il panico.

Lui poggia una mano sulla mia e mi dice "a presto Simò"
"Aspetta" dico "Ti do il mio numero"
"Me lo ricordo a memoria il tuo" dice e se ne va.

Torno a casa correndo e mi chiudo in bagno cercando di respirare normalmente. I pensieri mi vorticano nella testa, cosa mi aspettavo, che mi sarebbe corso incontro e mi avrebbe baciato? Sono passati tre anni

Alla fine non c'è la faccio mi alzo e vado a prendere le medicine che il medico mi ha prescritto al bisogno, mi metto a letto e cerco di tenere il mondo e i pensieri fuori.

Note:
Spero vi sia piaciuta questa parte incentrata sul loro rincontrarsi di nuovo.
Fatemi sapere nei commenti così so se continuare 🤣

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