You make me wanna scream at the top of my lungs

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"Signorina Davies, può spiegarmi cosa stava facendo in giardino durante l'orario delle lezioni?" La Robinson mi ha convocata nel suo ufficio, e dal tono della sua voce capisco che è parecchio contrariata. Un ciuffo di capelli sfugge disordinatamente dalla crocchia malferma, tenuta insieme a stento da poche forcine.

"Non mi sentivo molto bene e sono uscita a prendere una boccata d'aria," rispondo, inventando la scusa più plausibile che riesco a trovare in questo momento. So bene che non sarà sufficiente a convincerla. Perfino il preside, ogni mattina, evita di incrociare il suo sguardo, dirigendosi rapidamente verso il suo ufficio e fissando ostinatamente il pavimento. Il carattere austero della Robinson sembra intimorire anche lui.

"Se non si sente bene, il luogo più adatto in cui recarsi sarebbe l'infermeria," ribatte con ovvietà, inarcando un sopracciglio mentre attende la mia prossima giustificazione.

"Avevo solo bisogno di un po' d'aria fresca," le spiego, sperando che mi lasci andare senza ulteriori domande. "Mi scusi davvero, non succederà più," aggiungo, cercando di scagionarmi.

Proprio in quel momento qualcuno bussa alla porta, interrompendo la mia voce supplichevole e distogliendo lo sguardo della Robinson dalle mie mani, che continuo a far scivolare nervosamente l'una sull'altra. Dopo aver ricevuto il permesso, la collaboratrice scolastica Winslow entra in ufficio, accompagnata da Evan.

"L'ho sorpreso mentre spegneva una sigaretta sul muretto del giardino, proprio dietro al grande albero," annuncia, riferendosi alla maestosa quercia che domina il centro del cortile, circondata da alcune panchine, quasi sempre occupate dagli studenti durante la pausa pranzo nella stagione primaverile. Lascia Evan con noi prima di uscire dall'ufficio, tirandosi dietro qualche maledizione mormorata da quest'ultimo.

"Rompi palle," sbuffa Evan sottovoce, lanciandomi poi un'occhiataccia carica di disprezzo, come se la colpa di essere stato sorpreso dalla Winslow fosse mia. Ricambio il suo sguardo ostile, cercando di ignorare la sua presenza minacciosa. La sua entrata inaspettata e sgradita in questa stanza mi ha provocato una scossa intensa nello stomaco, come se qualcosa si fosse spostato tra gli organi, generando un profondo senso di disagio dentro di me.

"Bene," esordisce la Robinson, mettendo fine all'astio tra di noi. Ci giriamo entrambi verso di lei, dedicandole la nostra completa attenzione. "Dato che oggi avete deciso di passeggiare in giardino anziché seguire le lezioni, recupererete questo pomeriggio: rimarrete a scuola fino alle sei in punto e potrete recuperare eventuali lezioni o compiti arretrati della settimana scorsa." Alle sue parole, spalanco gli occhi esterrefatta. Non posso credere alle mie orecchie; la cattiveria di questa donna sembra non avere limiti, così come la sua intransigenza.

"La prego, mi iscrivo a tutti i corsi extracurricolari, frequento anche il laboratorio di chimica, ma non posso trascorrere un intero pomeriggio con lui!" Imploro inutilmente. La Robinson rimane irremovibile, anche dopo aver visto quanto fosse sincera e disperata la mia richiesta. Se dovessi paragonare la vicepreside a un animale, la definirei un giaguaro: un felino solitario che caccia con astuzia, spesso scrutando la preda da lontano. Allo stesso modo, lei ci osserva dalla finestrella del suo ufficio, analizzando ogni nostro minimo movimento, in attesa del momento giusto per colpire con precisione e, come un giaguaro, dimostrarsi spietata.

"Signorina Davies," mi indica con il suo dito autoritario, prima di spostare lo sguardo verso Evan, che stranamente non ha nulla da obiettare. "Moore, fuori dal mio ufficio, ora." Conclude poi, indossando i suoi occhiali da vista e chinandosi su alcuni fogli sparsi disordinatamente sulla scrivania.

Tiro un sospiro di resa prima di uscire dall'ufficio, ormai rassegnata, osservando Evan che mi supera con indifferenza, come se nulla fosse accaduto.

"Facciamo in modo di non trasformare questa giornata in un inferno. Stai lontano da me e io farò lo stesso con te," gli dico, ricevendo in risposta solo un'occhiata annoiata e il suo ennesimo sguardo rivolto al cielo, mentre continua a fissare insistentemente lo schermo del suo telefono, apparentemente più importante della punizione appena ricevuta.

Until spring: a love that bloomsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora