Appena apro la porta di casa trovo mamma seduta sul divano a guardarsi una serie televisiva che è trasmessa sulle reti tv.
"Bentornata Beatrice" mi saluta senza neanche voltarsi a guardarmi. Ormai non mi pesa più, ne sono abituata ma non dimenticherò mai quanto questo suo essere schivo mi causò malumore da più piccola.
Non abbreviava mai il mio nome ne mi aveva attributo un soprannome amorevole come le madri delle mie compagne di classe facevano. Quando veniva a prendermi a scuola, non si chinava a braccia aperte pronta a stringermi in un abbraccio, non mi dava un bacio ne una carezza. Mi prendeva per la mano, ogni tanto, se stavo parlando con qualcuno mi diceva con durezza di salutare e tornavamo a casa senza parlare.
All'elementari forse ero ancora troppo piccola, sapevo che poi avevo papà a casa ad aspettarmi e mi sarei divertita con lui, ma quando si trasferì a Bergamo città, mi sentì sprofondare.Avevo iniziato le medie da un anno, ero nel purgatorio che divideva l'adolescenza e l'infanzia. Era il periodo dei primi dubbi, delle prime paranoie e l'assenza di una partecipazione attiva dei genitori si faceva sentire. Papà, mi chiamava sempre appena aveva un momento libero, ma per una bambina una telefonata non significava esser presenti. Mamma, invece, tornava a casa nel tardo pomeriggio e non mi dava importanza, si ricordava di me solo nel momento che doveva ripetermi le sue regole. Così le chiamava -e lo fa tutt'ora- quei assurdi divieti che mi imponeva e mi fecero credere che la vita era come lei me la descriveva.
Ricordo che quando sentivo il rumore dello scoccare della serratura, il cuore batteva a tre mila. Speravo che quello sarebbe stato il giorno in cui si sarebbe avvicinata a me e stretta in un abbraccio dicendomi che mi voleva bene. Ogni giorno lo speravo, ma mai si avverò. Appena metteva piede in casa l'emozione che provavo al pensiero di quell'immagine scompariva. Si rompeva in mille pezzi e il mio cuore replicava il rumore di un bicchiere di vetro distruggersi.
Mi guarda distratta, ogni tanto le sue occhiate erano anche brutte, mi stava guardando male. Accennavo un piccolo sorriso che non ricambiava, se mi trovavo davanti a lei mi schivava e andava nella sua camera. Poi a volte sentivo la sua risata e la voce squillante, tono che non aveva mai usato con me. Se si rivolgeva a me parlava con tono piatto o brusco, mai felice o semplicemente quel tono spensierato che si assume quando si fa una chiacchierata in serenità. Mi avvicinavo alla porta della sua camera curiosa e sempre la stessa scena si palesava davanti, mia madre felice nel parlare al telefono con mia sorella.
Il momento della telefonata tra le due, era quello che cercavo di evitare il più possibile. Mi faceva sentire sbagliata, la mia mente viaggiava e si immaginava più scenari possibili ma tutto con lo stesso sfondo. Mia madre non mi vorrà mai bene quanto ne vuole a mia sorella. Quel pensiero che veniva fatto da una semplice bambina negli anni fu confermato da lei stessa.
Mi considerava una delusione, mia sorella per lei era la perfezione, la luce nel buio e la salvezza nel pericolo. Denise era considerata luce, io buio; Denise per lei era la salvezza, io ero il pericolo.
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Semplicità // Christian Stefanelli
Fiksi PenggemarBeatrice sono molteplici le cose che ama ma tra tutte adora la semplicità dell'essere. Anche le cose che odia non sono poche, soprattutto alcune persone tra cui Christian. Si conoscono da fin quando sono bambini ma non hanno mai avuto tolleranza l'u...