Capitolo 3(Seconda parte)

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Il viaggio di rientro verso la mia abitazione fu imbarazzante. Di tanto in tanto lanciavo delle occhiate furtive al mio accompagnatore, osservando la sua figura longilinea vestita in abbigliamento casual, che se ne stava con il braccio ciondolante dal finestrino, scrutando il paesaggio montano in lontananza. L'aria si era fatta rovente e, nonostante l'abbigliamento estivo, mi sentivo ribollire dentro.

Alla mia confusione iniziale, dopo l'incontro con Lightman, si era unita una leggera irritazione per essere stato volutamente lasciato all'oscuro, dando così inizio a mille paranoie. E se mi stesse davvero prendendo in giro? Se fosse tutto un piano architettato, non so, in combutta con gli abitanti del paese? Certo, la cosa aveva senso. Trovare un ragazzo che mi assomigliava, truccarlo per renderlo più simile a me e piazzare un cartellone pubblicitario con la sua bella faccia per adescarmi. Era un'ipotesi plausibile, se non fosse stato per lo scrigno. Già, piazzare uno scrigno dentro di me non sarebbe stata certo una cosa facile. Me ne sarei accorto, immagino...

«La smetta di darsi tutti questi pensieri, nessuno sta cospirando contro di lei» disse Lightman, senza distogliere lo sguardo dal paesaggio esterno.

«Ma come–­­»

«Lei pensa troppo Signor Lioy. Capisco che quello che le sta succedendo è insolito per chi come lei non è mai entrato in contatto con gli esp­».

«Esp?»

«Le percezioni extrasensoriali» disse senza allargarsi in spiegazioni «ma le posso assicurare che ne ho avuti di casi, persino più bizzarri del suo».

«Ma se lei mi rendesse partecipe di»

«Se io le dicessi la Piramide di Cheope, lei cosa mi risponderebbe?» mi interruppe lui, tirandosi con una mano indietro i capelli scombinati dal vento caldo.

«In che senso?»

«Nel senso, cosa mi risponderebbe?»

«Non ne ho idea, dipende da cosa vuole sapere!»

«Esattamente quello che intendevo prima. Se le dessi le risposte senza farle prima la giusta domanda non andremmo da nessuna parte».

«Quindi, lei vuole capire prima la domanda da farmi?»

«Esatto, quando avrò tutti gli elementi, allora, la nostra indagine avrà inizio».

«E perché stiamo andando a casa mia?»

«Perché la casa è il nostro luogo sicuro, il luogo dove ci spogliamo delle nostre armature e sprigioniamo la nostra vera essenza».

«Capisco» mentii.

Lightman non parlò più né tanto meno lo feci io, fin quando giungemmo a destinazione. Superato il cancello elettrico, parcheggiai la macchina nel piccolo cortiletto ed entrammo in casa.

Il freschetto del condizionatore che avevo lasciato acceso mi rincuorò. Non feci in tempo a godermelo che il mio ospite, senza troppe cerimonie, imboccò il corridoio sulla sinistra entrando in camera da letto.

Frugò dappertutto facendomi sentire offeso per quell'ulteriore violazione della mia privacy. Aprì cassetti, spalancò armadi, sollevò tappeti. Si diresse poi in bagno- si soffermò sul buco nel box doccia- e continuò la sua ricerca, passando poi in cucina. Non parlò per tutta la durata della perlustrazione e, immaginai, che stesse cercando di percepire le onde extrasensoriali o come si chiamano.

«Vive da molto qui?» chiese infine, una volta richiusa l'anta della credenza sopra il lavello della cucina.

«Sì» mi limitai a rispondere.

«Eppure è un appartamento molto impersonale. Non ci sono foto se non varie litografie e stampe egizie».

«Sì, ora che me lo fa notare, è vero».

Lightman si arrestò di colpo, irrigidendosi come un bastone di legno e sgranò gli occhi come avesse visto un fantasma.

«Cosa succede?» chiesi allarmato.

Non rispose alla mia domanda e sollevò una mano per zittirmi. Uscì a gran velocità dalla stanza, piazzandosi davanti all'alta porta a doppia anta interposta tra la cucina e lo stanzino. Era di legno scuro, con due maniglie di bronzo rotonde e con al centro due finestrelle di vetro sabbiato che non lasciavano intravedere cosa ci fosse dall'altra parte.

«Cosa c'è dietro quella porta?» domandò.

«Il vecchio studio del proprietario di casa, ma è sempre stata chiusa a chiave».

Lightman si avvicinò alla porta, poggiò le mani e la fronte sul legno bruno e fece un profondo respiro. Rimase immobile e io feci lo stesso per non disturbare quel momento così solenne. Bisbigliò qualcosa, ma non capii cosa stesse dicendo, sembrava una lingua diversa. Molto spesso la tonalità delle sue parole salivano, come se stesse ponendo delle domande.

«Dentro c'è qualcuno» disse, allontanandosi dalla porta e tornando a guardarmi.

«Come qualcuno?» chiesi spiazzato da quella rivelazione.

«Una presenza sofferente che ha bisogno di aiuto».

«Dice sul serio?»

«Mi sembra ovvio».

«E come ci è entrata?»

«Questo non lo so, forse è sempre stata lì».

Un brivido mi percorse la schiena nel pensare che, per tutto quel tempo, c'era stato un inquilino abusivo in casa mia senza che lo sapessi.

«E quindi, che si fa? Serve qualche rituale o cose del genere?»

«Credo che lei non abbia ben chiaro su cosa faccia un vero parapsicologo. Serve la chiave per liberare lo spirito».

«La chiave? Allora dobbiamo andare a chiederla».

«No, Signor Lioy. Questa porta è una connessione con il mondo spirituale, non basterà una comune chiave ad aprirla».

Non seppi cosa rispondere a quella sua affermazione, ma Lightman sembrava non aspettarsi che dicessi nulla.

«Molto bene, adesso che ho tutti gli elementi in mano, possiamo cominciare» disse avvicinandosi alla porta d'ingresso.

«Quindi, adesso mi spiegherà tutto?»

«No, domani saprà tutto. Ci vediamo alle nove in punto nella piazza principale del paese. La avviso già da ora che  non verrò solo, porterò con me un mio collega. Venga vestito comodo, mi sa che ci sarà da camminare».

Mnimi-Lo scrigno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora