Capitolo 14

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«Dove mi trovo?» mi domandai scorgendo, non appena aprì gli occhi, l'azzurro-purpureo di un cielo che si era da poco svegliato. Il mio corpo era leggero, le braccia e le gambe erano divaricate, avvertivo dei suoni confusi ronzarmi nelle orecchie. Erano tante parole pronunciate da diverse voci, ma non ne riconobbi neanche una. I miei occhi si riempirono di immagini veloci e sfumate che, come fuochi d'artificio, esplosero portando ritagli acerbi del mio passato, che anche in quel caso non riuscii a riconoscere. Ma non me ne preoccupai, mi sentivo così bene, ero finalmente in pace con me stesso. «Sto andando verso la luce?» mi domandai.

Il mio interrogativo ebbe subito una risposta non appena la mia schiena batté contro qualcosa, facendomi tornare alla realtà. Compresi allora che non mi trovavo a fluttuare nel cielo di un mondo trascendente, ma in mezzo al mare. Poggiai le mani e i piedi contro la sabbia e mi tirai su, ritrovandomi a salutare la spiaggia che avevo lasciato dopo aver scoperto il mio cadavere.

Era completamente desolata. Che fine avevano fatto gli ombrelloni lasciati a sonnecchiare in attesa del giorno dopo? Rimasi per qualche secondo inebetito, cercando di capire perché mai fossi tornato lì, finché un vento gelido mi riscosse, facendomi tremare dalla testa ai piedi. Mi abbracciai per ripararmi da quel gelo che mi stava trafiggendo le braccia e le gambe nude, senza ottenere nulla se non un sonoro starnuto. Era un freddo strano, ben diverso dal quello estivo; era un freddo pungente che sapeva di neve. Decisi allora che la mossa migliore da fare sarebbe stata tornate a casa e fare una bella doccia calda, per poi cercare di fare chiarezza su quello che stava succedendo. Fu così che, a passo spedito e con l'acqua che mi appesantiva i vestiti, lasciai la spiaggia alla volta della mia abitazione. Il piccolo paesino era ancora avvolto nel silenzio e lo attraversai, desideroso di tornare a casa. Rallentai però la camminata non appena incrociai lo sguardo sconcertato di un negoziante. Sembrava quasi che ritenesse alquanto fuori luogo il mio abbigliamento estivo, tanto quanto ritenessi strano io quel cappello di lana con tanto di sciarpone e cappotto pesante. Una nuova folata di vento ghiacciato mi riscosse e mi ricordò che casa mia era vicina. Mi infilai nel vialetto di calce bianca, giungendo di fronte al cancello elettrico. Infilai le mani in tasca e tirai fuori il mazzetto di chiavi che tintinnarono. Sorpassai il cancello elettrico, arrivando di fronte al portone e in men che non si dica, infilai la chiave nella toppa aprendo la porta. Ma non azzardai un passo in avanti. Un insopportabile olezzo di marciume mi travolse, violentandomi le narici.

Inorridito da quel tanfo pestilenziale, mi portai una mano davanti al viso coprendo la bocca e il naso e mi guardai intorno: le persiane erano abbassate tanto che neanche un esile filo di sole mattutino riusciva a filtrare. Spinsi più volte l'interruttore accanto alla porta d'ingresso per accendere la luce, ma tutto continuò a rimanere nel buio.

«Ma che sta succedendo?» mi chiesi, attraversando il soggiorno. Afferrai, con l'unica mano libera, la corda consunta della serranda e la tirai verso il basso, avendo così la possibilità di vedere le condizioni disdicevoli in cui versava il salotto. Il divanetto, dove avevo trascorso i miei pomeriggi a guardare la televisione ,era pieno di macchie di muffa scura; i pochi mobili di legno erano impolverati e i libri della piccola libreria giacevano sul pavimento, le pagine erano state strappate e ridotte a brandelli. La cornice di legno dapprima appesa alla parete era riversa a terra, il vetro che proteggeva l'immagine sacra di una Madonna piangente era in mille pezzi. Chi aveva mai potuto commettere una cosa del genere?

Passai in cucina e, grazie alla poca luce che entrava dalla stanza attigua, riuscii a vedere l'orrore. L'occhio mi saltò dentro al lavello: un'alta torre dall'aspetto instabile fatta di pentole, piatti incrostati di sporco e mestoli dalle varie dimensioni. Proprio sotto la finestra chiusa, trovai i colpevoli del tanfo illegale: delle buste stracolme di spazzatura, una addirittura era stramazzata a terra lasciando disperdere bucce di frutta in evidente stato di decomposizione e un liquido giallognolo. Credetti persino di vedere un esserino nero sgattaiolare via non appena mi avvicinai per alzare la serranda e aprire le finestre così da far cambiare l'aria. Come aveva fatto Lightman quando era arrivato in casa, aprì gli armadietti scoprendo che il loro interno era completamente vuoto. Attraversai il corridoio dirigendomi in camera da letto, lo spettacolo era simile agli altri: il materasso era completamente nudo e come il divanetto era macchiato in più punti da chiazze di umidità e con un solitario lenzuolo azzurro, lanciato ai piedi insieme a un cuscino grigio. Poco distante, riconobbi la valigia grande che avevo usato durante il mio trasloco. Mi ricordavo perfettamente di averla riposta dentro l'armadio, perché adesso era spalancata con vestiti ammassati al suo interno? Infine passai nel bagno, il vetro del box doccia era intatto e al suo interno un flacone di shampoo riversato a terra lasciava defluire sul piatto della doccia il suo contenuto verde. I sanitari erano sporchi e pieni di calcare e, aprendo il piccolo armadietto sopra il lavello, trovai uno spazzolino e un tubetto di dentifricio spremuto fino allo sfinimento.

Mnimi-Lo scrigno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora